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TRUTH

AL PEGGIO NON C’È MAI FINE

fabrizio fratus paola di franceschi paolo cioni silvana de mari Sep 22, 2023

di Silvana De Mari

Questo vecchio detto descrive una realtà disastrosa. Non è così per la frase solo apparentemente simile “poteva andare peggio”. Questo concetto ci aiuta a tenere l’attenzione concentrata su quello che sta funzionando. Il solo fatto che stiamo ancora respirando indica che almeno qualcosa deve essere andato per il verso giusto. I pessimisti  al contrario, sono convinti di essere nati con un contratto, che qualcuno abbia firmato un qualche documento a loro favore: la prego, ci faccia l’onore di nascere,  in cambio le garantiamo che le andrà sempre tutto bene, vivrà nel mulino bianco, in una nazione fantastica con politici integerrimi e medici capaci, verranno le fate a stirarle i calzini.

In realtà non abbiamo nessun contratto, nessuno ci deve niente. Il concetto che al peggio non c’è mai fine è drammaticamente rappresentato dalla nostra desolata sociologia. Negli anni 70 e 80 del secolo scorso il ragionier Fantozzi era considerato il paradigma dello sfigato. La parola sfigato nella sua volgare violenza contiene una verità etologica: sfigato è colui talmente in basso nella gerarchia del branco da non avere accesso ai genitali femminili. Fantozzi aveva un lavoro stabile, una casa di proprietà, un’auto di proprietà con nessuno che si azzardava dirgli che, dopo aver pagato bollo, assicurazione e revisione, la sua auto perfettamente funzionante non poteva circolare perché altrimenti avrebbe inquinato l’aria della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare o chi per lei. Fantozzi aveva anche una moglie che gli voleva bene e se fosse uscito dal suo terribile snobismo, che includeva l’imitazione della vita dei più abbienti e la corte alla terrificante signorina Silvani, sarebbe uscito dal ruolo dello sfigato, che si era creato lui. Una persona che aveva ciò che era  considerato normale degli anni ’70,’80: tredici mensilità, la pensione, una casa e un’ auto di proprietà, oggi sarebbe considerato  un privilegiato. Nel  film “Viaggio di nozze” di Carlo Verdone sono presentati come strampalati e bizzarri due sposi un po’ cafoncelli che però sono non tatuati,  sono di sesso diverso, si sposano in chiesa, non hanno la faccia sfigurata da piercing, e vogliono avere dei bambini che chiameranno Kevin e Maria. Oggi sarebbero considerati la coppia ideale.

Dobbiamo quindi prendere atto che abbiamo avuto negli ultimi decenni un crollo sia della stabilità economica sia della stabilità antropologica. Entrambi i disastri, economico e antropologico, hanno la stessa causa, una modificazione della mente umana dovuta alla pornografia. Il crollo dell’economia è inevitabilmente collegato al crollo delle nascite, come spiega Ettore Gotti Tedeschi. E più aumenta la povertà, meno nascono bambini in un  mondo che controlla le nascite. La pornografia causa il crollo delle nascite e uccide anche il desiderio che gli uomini hanno per il corpo delle donne, il vero corpo delle vere donna, una donna che può essere desiderata e amata, ma non stuprata e umiliata come nel porno e i guardatori di porno perdono la capacità di erezione al di fuori della violenza e dell’umiliazione. Le eiaculazioni frequenti abbattono il testosterone e si ha una perdita della caratteristica maschile che è la protezione. I guardatori di pornografia non proteggono né le donne né il territorio.

Il libro “L’ideologia del godimento”, di Fabrizio Fratus e Paolo Cioni spiega come l’umanità stia andando verso un peggioramento e progressivo degrado. La pornografia nasce dall’ideologia libertaria ma viene poi sostenuta dalla più formidabile industria, con introiti miliardari che non mollerà la presa e che continua a rilanciare. La pornografia crea dipendenza, una dipendenza basata sul sistema dopaminergico. Chi smanetta su internet può avere la ventura di capitare involontariamente su un sito porno, è il meccanismo dello spacciatore che regala la dose. “La pornografia, quindi, è praticamente un lato anomalo e perverso della nostra società contemporanea che attrae e conquista il soggetto moderno, abolisce il legame con la realtà, aumenta le fantasie erotiche, diventa devianza e dipendenza nell’individualismo esasperato. E’ così che si arriva a depennare i diritti di libertà. Libertà di essere uomo e donna, libertà di amare secondo le leggi più antiche e naturali, libertà di essere comunità. La realtà viene trasformata in una rappresentazione esposta e svestita, si traduce nell’isolamento perverso e nell’incapacità di relazionarsi e costruire legami con il prossimo. Un fenomeno che riguarda uomini e donne, eterosessuali ed omosessuali, giovani e adulti. Una problematica rilevante sul piano sociale e strumentalizzata dal potere”, scrive Paola di Franceschi nella prefazione del libro.

Il libro spiega l’origine della pornografia, il suo sviluppo, l’uso che ne viene fatto, la dipendenza che nasce. Indaga inoltre sui problemi sociali e le devianze conseguenti a questa dipendenza. Nel ‘68 si ha un’abolizione della disapprovazione per la perdita del senso del pudore e dell’affettività. Il senso del pudore e l’affettività non sono più considerati beni irrinunciabili, ma possibilità opzionali, sempre meno pregiate. Giudici e governi aboliscono le limitazioni al pornografia e alla prostituzione, che diventano nell’ottica radicale lavori come altri. Tra le pochissime voci contrarie Catherine MacKinnon, giurista della University of Michigan Law School, che intuisce che la donna è danneggiata, degradata a oggetto e merce sessuale, e la merce vale, quindi non la si lascia andare. . La mercificazione della donna è “causa o concausa di danni a persone specifiche sia in fase di produzione (donne forzate a posare, o riprese senza loro reale consenso alla produzione o circolazione del materiale pornografico), sia dopo, attraverso le modalità della diffamazione o della molestia, o ancora fornendo una spinta verso l’aggressione sessuale in persone predisposte”. Il libro ha anche una chiara spiegazione dei complessi meccanismi biochimici che sono alla base alla dipendenza, ed è ovvio che la dipendenza sarà tanto più grave quando più giovane è l’età di insorgenza.

Un ragazzino figlio di una famiglia solida e credente, con qualche fratello e qualche sorella mentre si trova con i giovani esploratori finisce in tenda con due ragazzini più grandi che serenamente guardano pornografia, e parlano delle nonne come se fossero cose. Il ragazzino è fornito di sorelle. In quei corpi vede quello della madre e quello delle sorelle, forse anche quello delle figlie che avrà quando anche lui sarà diventato un uomo come suo padre e come suo padre vuole avere una moglie, figli e figlie. Quei corpi smettono di essere oggetti e ritornano figlie o sorelle o addirittura madri, corpi sacri da proteggere. Protesta, viene preso in giro, non molla. A casa ne parla, insieme al genitore 1 ( mamma) e con la benedizione del genitore 2 (papà) va a protestare con chi avrebbe dovuto vigilare e di nuovo viene deriso: si tratta di cose normali, è lui che è ipersensibile. Per distruggere la violenza occorre ricordare l’umanità del corpo femminile. Il ragazzino ha ragione. Il cervello dei compagni è malato e chi doveva vegliare è forse in conflitto di interesse e incapace di capire il problema. Perché non c’è epoca nella quale di sesso si parla di più, ma la sessualità non si sa cosa sia. La bellezza della gioia nella fedeltà, nella responsabilità, nel prendersi l’onere di intrecciare un rapporto con l’altro sesso che possa portare alla creazione di una famiglia, non è più vista come qualcosa al quale anelare, ma solo da combattere a suon di termini come “patriarcato” e “libertà”. E invece sarebbe così bello il contrario. Sarebbe invece bello che i ragazzi sentissero ripugnanza verso la visione di immagini e foto dove le donne sono stuprate. Il ragazzino, che vive in una famiglia dove ai bambini è insegnato cosa sia la sessualità, che sa che la donna va rispettata sempre, che conosce la gioia della procreazione dei figli, che è accolto nella rabbia dell’aver subìto parole, termini e cattivi esempi, non è abbandonato dalla famiglia che lo ama e lo sostiene. È abbandonato dai formatori, da quegli adulti che non ritengono importante che un undicenne ascolti dei quattordicenni parlare di donne come di robe da penetrare e che possono fare prestazioni tutt’altro che lusinghiere. E ora qualcuno di renda conto di quanto è tragicamente squallido e sbagliato che individui come Ilona Staller e Rocco Siffredi  vengano presentati come persone normali che fanno un lavoro come un altro e noi, il popolo, potremmo anche averne abbastanza di funzionari della Rai che ci impongono la visione di persone che non vogliamo vedere. La pornografia non è la norma ma la distruzione: le élite ci vogliono pochi e scemi.

 

 

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