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Apocalisse. La Potenza di Dio nei Piccoli. Torniamo Bambini. R.S.

marco tosatti stilum curiae Nov 15, 2023

di Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, che ben conoscete, R.S., offre alla vostra attenzione queste riflessioni sull’Apocalisse. Buona lettura e condivisione.

DIO OPERA CON POTENZA TRAMITE LA PICCOLEZZA DI CHI SI FIDA

Mi è capitato di rivedere un film italiano degli anni sessanta e mi ha molto impressionato la quantità di bambini ovunque, per strada e nella quotidianità dei protagonisti della trama. Erano gli anni del baby boom, ma soprattutto era un’Italia viva, giunta ad essere la quarta o quinta potenza economica del globo, quando ancora c’erano le macerie dei bombardamenti dell’ultima guerra. La vitalità che si percepisce in queste scene non era priva di criticità e di sofferenze, ma sprizzava tutta la gioia e il chiasso che solo i volti e le urla dei bambini sanno avere.  

Questa premessa non vuole fare da apripista ad un lamento sull’inverno demografico attuale, che sconta scelte politiche che hanno eliminato qualche milione di connazionali che adesso sarebbero più giovani di me, ma mira ad un approfondimento sul tema spirituale della piccolezza. Per un adulto è un diminuire a sé stessi perché possa crescervi l’Altro, un rimpicciolire al me e al mondo per essere riempito di Grazia. 

Nelle ultime settimane Stilum Curiae ha proposto degli articoli sull’Apocalisse di San Giovanni. Il libro, che propone ben sette beatitudini in una prospettiva nuziale, ha peculiarità che lo accomunano ai libri per bambini. E’ infatti un libro “sensoriale” con relativamente poche parole e tante potenti immagini, tra profumi, odori, suoni, tuoni, canti, sapori, lampi, animali, angeli e tanta luce. La luce non toglie l’angoscia, se c’è, ma ne illumina la tenebra che provoca.

Dio non toglie il dramma o la tragedia (la prova è necessaria), ma toglie l’oscurità: si vede chiaramente, invece di brancolare nel buio. La chiaroveggenza non è una stregoneria da indovini, ma uno sguardo capace di interpretare lucidamente la realtà presente, mentre la vivo lì dove sto adesso.

Quando tutto sembra farsi minaccioso Dio dov’è? E’ in mezzo a noi e vigila perché non si spenga la Sua luce. La luce viene da Dio: è Lui. A noi sta di (ri) orientare lo sguardo in quella luce; il resto svanisce e Gesù dice di non aver paura: è la carezza di Dio e le carezze sono più belle delle spiegazioni. Solo i puri di cuore vedono Dio e un bimbo, privo della pretesa di capire tutto, ma incuriosito da ciò che vive, illumina con questa luce il suo cuore semplice e puro.

Il tema della luce divina è comune al magnifico prologo del quarto vangelo: c’è bisogno di restare a bocca aperta! Una Parola (il Verbo, il Logos) fatta carne; per conoscerla e comprenderla è necessario osservarla e praticarla esattamente come fa un bambino nel gioco, imparando non dai teoremi dell’erudizione colta, ma per mimetismo e per immedesimazione, acquisendo la conoscenza sporcandosi le mani e con le croste sulle ginocchia.    

Davanti ad Apocalisse (la Rivelazione di Cristo) si deve tornare un po’ bambini: è il solo modo per comprendere qualcosa, perché soltanto i piccoli possono farlo. La fede cristiana non è intellettualistica, ma è luce, vita, carne e sangue: stai e impara. Imitiamo la Madre nel mettere al mondo in noi (per la fecondità di Dio) il Verbo incarnato.

Che cosa si rivela in Apocalisse che ha tanto bisogno della nostra piccolezza? Che il Vittorioso vince con mezzi piccoli: l’agnello, un esercito vestito di lino bianco, una donna incinta vestita di sole, l’arca, il cavaliere vestito da sposo, il tau (l’ultima lettera dell’alfabeto). Ad esempio quando, annunciando il leone di Giuda degno di aprire il rotolo con i suoi sette sigilli, non compare un leone, ma un agnello “come immolato, ma ritto in piedi”. L’agnello prende il libro e i vegliardi suonano spargendo incenso e prostrandosi adoranti. Perciò, quando attendiamo da Dio una risposta ai nostri perché, non attendiamoci il Re Leone, ma ancora quello stesso Agnello che San Giovanni presenta nel vangelo nell’episodio al Giordano subito dopo il prologo. Un agnello la cui lana bianca è sporca del suo sangue pasquale. 

Nei grandi numeri di Apocalisse impariamo che a Dio bastano la metà dei 288000 dell’esercito di Davide (1 Cr 27), ennesimo segno di piccolezza presentando i 144000 che hanno lavato le vesti nel sangue dell’agnello, che bagna l’architrave insanguinato della porta (stretta) da cui passare per salvarsi: si è riaperta la porta che era stata chiusa uscendo da Eden. Il segno della piccolezza che salva chi si fa piccolo prima che sapiente. Nel grande combattimento spirituale che riguarda ogni anima, al momento dello scontro con le miriadi di armate corazzate del nemico, con i loro cavalli enormi e fumanti (Ap 20), a fronteggiarle sono i paramenti sacri, le schiere angeliche e il Cristo vestito di lino.  

Si vince con… niente. Basta la nostra piccolezza perché è Cristo che vince. Ne è un indizio anche l’iconografia di San Michele e di San Giorgio ritratti con spada e lancia filiformi e fragili, perché la forza è in di Dio e non nell’arma.  

Oggi il segno piccolo per eccellenza è l’Eucaristia, che sconcerta i sapienti, ma è compreso dai bambini che con fede accolgono la realtà della transustanziazione. Durante la Santa Messa, vedendo cadere a terra una particola sfuggita nel passaggio dal celebrante alle mani del fedele, la prima cosa che pensa un bambino è: “Gesù, ti sei fatto tanto male?” Converrete che è diverso dal disquisire sull’inopportunità liturgica della comunione sulla mano!   

L’Anti-Trinità che regge Babilonia (il drago, la bestia della terra e la bestia del mare) è smaccatamente e proditoriamente anti-vita; odia i bambini ed esercita il suo potere minacciando la donna vestita di sole che ha partorito.  La minaccia oggi sono l’aborto, l’eutanasia dei piccoli malati, la pedofilia e tante altre crudeltà contro i piccoli per togliere loro l’innocenza.

I bambini conoscono lo stupore e il desiderio a braccia tese verso chi li rassicura; sono ignari dei calcoli, dei pesi sulla bilancia, degli interessi composti e dei ragionamenti scettici del pragmatico razionalismo utilitarista: non perché non sia bene anche il saper far di calcolo, ma per non farne l’idolo di un sé montato in sella alla propria superba autodeterminazione, che allo stupore della Provvidenza preferisce le garanzie della previdenza. Il dono e il perdono dell’amore sono indigesti a chi ha una mano destra sempre informata dell’agire della sinistra.                  

Ma per rimanere noi piccoli bisogna accettare di tornare ad essere capaci di stupore e del naturale attaccamento al bene e alla vita, esprimendolo come fosse una lallazione (in latino lallatio è il canterellare), incapace di veicolare significati precisi. Lallazione è proprio il termine utilizzato dal Prof. Sermonti per descrivere quello che Dante voleva dirci nel XXXIII canto del Paradiso, finalmente approdato alla visione di Dio.  Il Sommo, inizialmente smarrito in una selva oscura dell’inferno, ora desidera di vedere direttamente Dio nella Sua Luce e San Bernardo gli ottiene la grazia.

Riferisce di tre cerchi autolucenti ardenti di fuoco, “di tre colori e una contenenza”.  In uno dei cerchi il poeta vede la sua immagine riflessa: l’uomo in Cristo sta nella Santissima Trinità (dove è già la Madre Santissima). Tre figure discoidali distinte e indistinguibili… sta vedendo l’inimmaginabile e non lo sa descrivere adeguatamente… Dante ammette: “all’alta fantasia qui mancò possa”, ma Dio si mostra come una ruota che si muove “dell’amor che muove il sole e le altre stelle”. 

Cito a braccio Sermonti: Dante vede quel poco che gli era dato di vedere; e di quel poco pochissimo ricorda; e di quel pochissimo resta il nonnulla che è capace di dirci unicamente per grazia di Dio, senza proprio merito (perciò una lallazione). Lo dice proprio lui, attribuendosi un linguaggio più smozzicato di quel che userebbe un lattante. Man mano che il pellegrino procede nella beatitudine si fa sempre più piccolo… prossimo alla nascita tocca l’apice, da neonato mistico!  Tre visioni eterne, simultanee e successive di “ciò che nell’universo si squaderna”. Come sia possibile Dante non lo sa.  

Non viene voglia di fare un bel girotondo nella beata innocenza condivisa con chi teniamo per mano cantando?

Voler capire tutto è una tragica presunzione! Dio opera mirabilmente e la sua azione è maggiore sulle anime che vivono nel poco della loro piccolezza. È un principio fondamentale per la vita soprannaturale, da scolpire nell’anima; un principio vitale per la santificazione: Gesù ne fa un esplicito ringraziamento al Padre: Ti ringrazio che hai nascosto queste cose ai grandi e le hai rivelate ai piccoli (Lc X,21; Mt XI,25). Dio predilige ciò che è piccolo e umile non per dominio, per superiorità o per la distanza tra la sua grandezza e la nostra miseria (poiché ogni grandezza creaturale è trascurabile innanzi a Lui, essendo anche in matematica 1+ infinito = infinito). Dio predilige l’umile e il piccolo per condividere l’Amore che Egli è.  

E’ un dato di fatto che la creatura insuperbita possa dimenticarsi del suo Creatore e persino amando (che è prerogativa della creatura umana) si può fare a meno di Dio.  Incontrando creature piene di sé Dio non le coarta. Tuttavia meno la creatura rivendica la propria entità e più Egli le si effonde con generosa bontà; più la creatura si attacca alla propria entità e meno Egli può operarvi, per non ledere quel diritto libero di vita che le ha dato.

Se comprendessimo questo mistero ci sforzeremmo di farci più piccoli! Vivremmo in pieno la parola di Gesù: il rinnegare sé stessi (Mc 8,34). Invece ce la mettiamo tutta per ingrandirci, stando davanti a Dio con tale presunzione da gonfiare il più possibile, fino a metterci alla pari con Lui, anzi sopra di Lui, imitando Satana e gli angeli ribelli, per precipitare sotto il peso del peccato di superbia ed orgoglio.

Sono proprio i bambini e la piccolezza spirituale che mancano a questo mondo triste pieno di morte e di facce pensose, preoccupate degli affari, con la paura di morire e senza un senso da saper dare alla loro vita. La Babilonia dove i più imbroglioni imbrogliano gli altri che si lasciano imbrogliare… tanti laureati e diplomati, tutti confidenti negli apparati sociali, i diritti e la scienza dell’umanità che ritiene sciocco credere alla presenza di Dio in un’ostia (la vittima, l’Agnello sacrificale) consacrata.

Questa adultità convince anche chi dice di aver fede, ma la vuole adulta e disincantata; in realtà una fede nel mondo, perché non vede più in là del suo naso vantandosi di credere solo a ciò che vede… nel buio che ha dentro!     

I bambini non si dannano perché hanno un cuore ancora non indurito. Hanno ancora la fiducia che non li inabissa nel male. Nella loro innocenza subiscono le efferatezze che hanno sparso il sangue di Cristo innocente. Hanno le mani protese alla mamma e la Mamma di Gesù è loro madre. A un bambino Dio può sempre aprire le sue braccia, senza trovare il rifiuto di chi non saprebbe che cosa farsene o lo troverebbe dannoso!
 
R.S.
 
FONTE : Stilum Curae
 
 

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