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Che cosa pensava Padre Pio delle novità conciliari?

francesco lamendola Sep 30, 2022

di Francesco Lamendola

Padre Pio da Pietrelcina, a giudizio di molti, è stato uno dei più grandi santi, forse il più grande, del XX secolo.

Il Concilio Vaticano II, a giudizio di molti, è stato uno dei più grandi eventi, se non il più grande, nella storia della Chiesa.

È naturale pertanto, e di grande interesse, sapere cosa pensava Padre Pio del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica che ad esso tenne dietro in brevissimo volger di tempo, tanto che nel 1969 era ormai cosa fatta, con la pubblicazione, il 3 aprile, del nuovo Missale Romanum (che, nonostante il titolo in latino, non era più in latino, ma in lingua volgare; mentre il Concilio si era chiuso nel dicembre 1965).

Che cosa pensasse del Concilio nel suo complesso, non possiamo dirlo con assoluta sicurezza, ma vi sono sufficienti indizi (e non si dimentichi che egli possedeva anche il dono soprannaturale della preveggenza) per pensare che fosse estremamente preoccupato per il futuro della Chiesa e per la salute delle anime.

Che cosa pensasse della riforma liturgica, lo mostrano i fatti: chiese (e ottenne) di poter seguitare a celebrare la messa di sempre, quella della sua stessa ordinazione; quella durante la quale si immedesimava a tal punto nel Sacrificio eucaristico da perdere del tutto la nozione del tempo e da restare in silenzio, come in estasi, per più di un’ora.

Il fatto è che fra gli stessi padri conciliari, quelli di loro che erano in buona fede (ed erano certamente la maggioranza) e ignoravano o sospettavano solo vagamente il disegno malefico e la precisa congiura che i neomodernisti avevamo tessuto nell’ombra, già da tempo, alcuni vollero sapere quale fosse il pensiero del santo stigmatizzato del Gargano, così da ricevere qualche raggio di luce nel buio fitto che stava scendendo, nonostante la grancassa del mondo e tutto l’apparato di esaltazione acritica che la stampa interessata stava portando avanti per spingere le “riforme” e le novità sempre più avanti.

Citiamo una pagina della biografia Padre Pio, notevole per equilibrio e scrupolo d’imparzialità, del saggista francese Yves Chiron (titolo originale: Padre Pio. Le stigmatisé, Librairie Académique Perrin, 1994; traduzione di B. Gabutti, Edizioni Paoline, 1997, pp.329; 335-336):

San Giovanni Rotondo attirò alcuni padri conciliari che, preoccupati e disorientati, si aspettavano di trovarvi qualche chiarimento o risposta. Incontrarono soltanto un religioso che confessava per tutto il giorno e che celebrava la messa con una devozione e un’attenzione soprannaturali. Videro un prete stigmatizzato, il primo della storia della Chiesa, che avrebbe potuto dire con san Paolo: «Completo nel mio corpo ciò che manca ai patimenti di Cristo per il suo corpo, che è la Chiesa» (Col. 1,24). Soffrire per la Chiesa e attraverso la Chiesa:questa era la prima lezione che poteva dare Padre Pio ai prelati che venivano a consultarlo. A un visitatore, che gli faceva troppe domande, aveva risposto un giorno: «L’abitudine di chiedere sempre perché ha portato il mondo a perdersi». (…)

La costituzione sulla liturgia era stata promulgata il 4 dicembre 1963. Iniziò allora la revisione di certi riti e la preparazione di nuovi testi liturgici. Un “Consilium” di liturgia, messo in piedi da Paolo I il 25 gennaio 1964, si dedicò a questo lavoro. Monsignor Annibale Bugnini e il cardinal Lercaro ne furono i principali responsabili. Si trattava di riformare tutti i riti sacramentali, e in primo luogo la messa, in una prospettiva di riavvicinamento con le altre confessioni cristiane. Il rito tridentino, detto di san Pio V; sarebbe stato sostituito, dopo il concilio, con un nuovo rito, il “Novus Ordo Missae”, promulgato in maniera definitiva da Paolo VI il 3 aprile 1969e che proponeva una nuova formulazione teologica del sacramento dell’eucaristia, ma anche la possibilità di celebrare la liturgia in lingua volgare.

La riforma liturgica preoccupava certamente Padre Pio. Anche se il “Novus Ordo” non entrerà in vigore ufficialmente e in maniera obbligatoria solo nel 1969, e cioè sei mesi dopo la sua morte, fin dalla prima domenica di Quaresima del 1965, che cadeva il 7 marzo, furono celebrate per la prima volta messe in lingua volgare, seguendo testi liturgici “sperimentali” del cardinal Lercaro e di monsignor Bugnini. Questa liturgia “sperimentale”, che abbandonava il latino e sconvolgeva la formulazione teologica del sacramento, non poteva incontrare l’assenso di Padre Pio. Prima ancora che fosse ufficialmente autorizzata, chiese, il 7 febbraio, di poter continuare a celebrare la messa secondo il rito tridentino.

Il fatto che il cardinal Lercaro, suo amico e protettore in svariate occasioni, fosse tra gli iniziatori della riforma non bastava a fargliela apprezzare in qualche modo. Paolo VI acconsentì ben volentieri alla richiesta di Padre Pio e, il 9 marzo, inviava il cardinal Bacci a portare di persona l’indulto che autorizzava il vecchio cappuccino a continuare a celebrare la messa della sua ordinazione. La scelta di Bacci non era senza significato. Oltre a essere stato uno dei pochi prelati che aveva sempre manifestato sostegno e amicizia a Padre Pio nei momenti più difficili della seconda persecuzione, era anche stato durante il concilio, che sarebbe terminato pochi mesi dopo, uno degli animatori della tendenza conservatrice e un ardente sostenitore del rito tradizionale in latino (cfr. il “Breve esame critico della nuova messa” presentato a Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci nel 1969).

L’autorizzazione a poter celebrare la messa in latino fino alla morte sollevò Padre Pio, che era preoccupato delle diverse riforme e novità che agitavano la Chiesa e che rinfocolavano le divisioni tra i padri conciliari. Dopo aver ringraziato il cardinal Bacci dell’indulto concesso dal papa, gli diede una specie di consiglio:

«Il Concilio, per pietà, finitelo in fretta!»

Nove mesi dopo, l’8 dicembre 1965, Paolo Vi chiudeva solennemente il Concilio Vaticano II. Lo faceva con una visione entusiasta dello pera compiuta. I vescovi e gli arcivescovi che se ne tornavano nelle loro diocesi dopo aver lavorato al «rinnovamento della Chiesa» avrebbero dovuto da quel momento in avanti rispondere, secondo Paolo VI, all’«appello imperioso dei popoli». Lo sguardo di Padre Pio sul mondo e sulla Chiesa era invece molto meno ottimista: la preoccupazione sarebbe stata d’ora in avanti il suo sentimento dominante.

Da questa ricostruzione emerge chiaramente che, pur non essendo stata ancora imposta la nuova liturgia, se un sacerdote desiderava continuare a celebrare la messa di sempre, cioè quella di san Pio V, doveva richiedere a Roma un apposito indulto. Anche Padre Pio si sottoposte a tale umiliazione e ottenne una risposta favorevole, sia perché un diniego avrebbe sollevata scalpore, vista la notorietà del personaggio, e sollevato interrogativi nell’opinione pubblica sul perché il santo cappuccino non volesse celebrare la nuova messa; sia quale forma di risarcimento morale, se così possiamo dire, per la seconda persecuzione, quella scatenata nel 1960 e di cui era stato anima (nera) il vescovo di Padova, il cappuccino Girolamo Bortignon, il quale aveva agito, se non con l’incoraggiamento, quantomeno con l’avallo o il benestare di Giovanni XXIII, e che tante indicibili sofferenze aveva provocato non solo al santo, ma anche ai suoi fedeli. A cominciare da quei due preti padovani, don Negrisiolo e don Castello, ai quali il loro vescovo stava facendo passare un autentico Calvario, ma che, ligi anche in questo al modello del loro padre spirituale, non vollero lasciare l’abito, ma rimasero fedeli alla Chiesa e saldi nella loro bella fede cattolica, nonostante tutto. Una prova analoga, sia detto fra parentesi, aveva dovuto sopportare anche un altro santo frate cappuccino, Leopoldo Mandic (morto nel 1942, nel mezzo della Seconda guerra mondiale) e sempre ad opera di Bortignon, non ancora vescovo, ma in veste di superiore provinciale dei cappuccini: subito prima di spirare, san Leopoldo confidò a una persona amica che quanto gli aveva fatto passare costui era stata la prova più dura della sua intera vita.

Nell’umiltà di Padre Pio davanti alle decisioni prese dalla Chiesa e nella sua obbedienza anche di fronte a provvedimenti – sia personali, sia di ordine generale – che riteneva ingiusti o sbagliati, non si ribellò, non protestò, non cercò di far valere le sue ragioni. Era un sacerdote, un religioso, un battezzato nella Chiesa fondata da Gesù Cristo, e non poteva nemmeno concepire che la resistenza a provvedimenti discutibili dei suoi superiori degenerasse in una forma di ribellione: per lui l’obbedienza era una virtù sempre e comunque, senza condizioni. È pur vero che egli visse in un tempo in cui si poteva sospettare che la Chiesa fosse infiltrata dai massoni, e che molte teorie teologiche sbagliate la stessero inquinando, ma nel complesso era diffusa la convinzione che essa non avrebbe mai tradito il messaggio di Cristo, perché i papi sarebbero sempre stati fedeli ad esso. E anche se, come pare, Padre Pio era a conoscenza della missione di don Luigi Villa, di indagare sulla penetrazione della massoneria nelle alte sfere della Chiesa, e anzi aveva dato la sua benedizione privata a quel coraggioso sacerdote nel momento in cui intraprendeva la sua lunga e pericolosa inchiesta (che gli fruttò numerosi tentativi di assassinio); anche se, forse, qualche sospetto sulla affiliazione alle logge di Giovanni XXIII e di Paolo VI poté sfiorarlo o giungere comunque ai suoi orecchi, non lasciò trapelare nulla all’esterno, né disse una sola parola di biasimo o di critica, per quanto cauta e circospetta, nei confronti di quei pontefici. Nemmeno su Giovanni XXIII, che tanto male agli aveva fatto dando ascolto alle insinuazioni di monsignor Bortignon (raccolte anche dal vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, che a sua volta mise in guardia i propri fedeli contro i gruppi di preghiera di Padre Pio: forse più per ingenuità che per una ragione precisa, come certamente fu il caso di Bortignon, il quale doveva ripianare la voragine finanziaria creata dal crack del disinvolto banchiere Giuffrè, e Padre Pio non voleva “girargli” le offerte dei fedeli per la casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo), mai lasciò trapelare il benché minimo moto di disobbedienza verso l’autorità apostolica, né mai premise ad alcuno di cogliere in lui il più piccolo cenno d’insofferenza o ribellione.

E qui, secondo noi, sta la maggiore grandezza di Padre Pio. Calunniato, non rispose; offeso, non reagì; perseguitato, non andò al contrattacco. Quanto al Concilio, una sola frase uscita dalla sua bocca ci è stata tramandata, una frase peraltro che dice tutto e non ha bisogno di commenti: «Per pietà, chiudetelo in fretta!». Accettò tutto in silenzio, senza mai mettere in discussione la legittimità dei suoi superiori.

Quanti ne sarebbero stato capaci, al suo posto? Quanti ne sono capaci oggi, allorché la censura dell’autorità ecclesiastica è motivo sufficiente per creare uno scisma, magari giustificandolo con le parole più nobili del mondo?

E, d’altra parte, se vogliamo spingere ancora più avanti le supposizioni: che cosa avrebbe fatto Padre Pio, se gli avessero negato l’indulto e si fosse visto obbligato a celebrare la messa secondo il Novus Ordo, pensato e attuato dal massone Annibale Bugnini? Anche in quel caso si sarebbe sottomesso, avrebbe sofferto in silenzio e offerto a Gesù Cristo il suo estremo sacrificio? Se si vuole essere onesti, è impossibile dirlo.

Negli ultimi anni della sua vita, anche dopo che la persecuzione contro di lui era finita, Padre Pio apparve costantemente serio, preoccupato. Era in ansia per il destino della Chiesa e per il bene delle anime, frastornate da troppe novità, alcune a dir poco discutibili. Il suo cuore generoso era capace di sopportare le prove più dure sulla propria persona, ma sanguinava al pensiero del male che era in agguato contro le anime dei fedeli. Questo tratto della sua santità era sempre stato presente. Risale alla prima persecuzione, quella del 1923 – il cui vero ispiratore era stato padre Agostino Gemelli, come Bortignon lo sarà della seconda - con la quale, fra le altre cose, gli si vietata di celebrare pubblicamente la messa, questo ricordo di Emmanuele Brunatto, il giorno in cui Padre Pio era venuto a sapere dei provvedimenti presi contro di lui, e pubblicamente annunciati sugli organi ufficiali vaticani e sulla stampa (Y. Chiron, cit., p. 177):

Arrivato nella cella, andò a chiudere le imposte della finestra e si fermò qualche istante come  per contemplare da lontano la pianura assolata di Foggia. Poi, all’improvviso, si voltò scoppiando a piangere. Mi gettai ai suoi piedi e gli abbracciai le ginocchia: «Padre mio, lei sa quanto l’amiamo! Il nostro amore deve esserle di conforto». La risposta fu dura, quasi un rimprovero: «Ma non capisci, figlio mio, che non piango per me? Avrò meno lavoro e più meriti. Piango per tutte quelle anime che vengono private della mia testimonianza proprio da quelle persone che dovrebbero difenderla».

 

 

 

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