
Declinazioni tutte al femminile, gli uomini scompaiono. L’ultimo “delirio” dell’università di Trento
Apr 05, 2024FONTE : lavocedeltrentino.it
“Decana”, “rettrice”, “segretaria”: tutto al femminile, anche se si tratta di uomini. Arriva la nuova introduzione progressista, passata sotto il silenzio assoluto, che stavolta riguarda l’università di Trento. Purtroppo non è un pesce di Aprile, del resto siamo nell’epoca degli asterischi e dello schwa, variazioni linguistiche difficili da commentare.
La sinistra d’altronde non nasconde di voler cancellare alcuni termini. A Bologna per esempio c’è stato lo Stop all’utilizzo della parola “uomo” e “uomini” in senso universale, bisogna preferire infatti – secondo la sinistra – a seconda del contesto “esseri umani”, “personale”, “popolazione” oppure “donne e uomini” alternato con “uomini e donne”, così da non anteporre sempre il maschile al femminile. E ancora, declinare la carica al femminile quando la posizione è occupata da una donna, quindi usare sindaco o sindaca, l’assessore o l’assessora, il presidente o la presidente.
Torniamo al nostro Ateneo, facciamo un piccolo passo indietro. Nella seduta del 29 marzo il Consiglio di amministrazione dell’Università di Trento ha varato il Regolamento generale di Ateneo, documento quadro che mette in atto e dettaglia quanto previsto dallo Statuto di Ateneo, recentemente aggiornato.
Un documento importante per la vita dell’Ateneo e per tanti atti che a esso si richiamano, perché disciplina la costituzione, le modalità di elezione e il funzionamento degli organi di Ateneo, oltre a dettare le disposizioni generali relative all’organizzazione delle strutture accademiche e alla gestione dei beni dell’Università di Trento.
Novità di questa ultima versione è però che per la prima volta sarà redatta adottando nella sua formulazione il ‘femminile sovraesteso’.
La sua peculiarità viene ribadita proprio nell’incipit con l’introduzione di un apposito comma: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone” (Titolo1, art. 1, comma 5).
Una scelta che ha una valenza fortemente simbolica e che segue altre decisioni in questo senso intraprese dall’Ateneo a partire dal 2017 con l’approvazione del vademecum “Per un uso del linguaggio rispettoso delle differenze”.
A contrastare la scelta che lascia increduli molti è «Azione Universitaria Trento» che per conto della sua portavoce Giulia Clara Balestrieri (nella foto insieme al rettore) definisce una «follia».
Secondo Azione Universitaria è ora di dire «basta con la retorica vuota e paternalista che suggerisce che l’inclusione nelle università sia una questione di linguaggio. L’ambiente accademico richiede rispetto per l’intelligenza e la competenza di ogni individuo, indipendentemente dal genere.
Riteniamo fondamentale promuovere un ambiente universitario che sia accogliente per tutti gli individui ma a nostro avviso è essenziale evitare l’adozione di pratiche linguistiche che possano risultare artificiose o eccessivamente complesse. L’uso del cosiddetto “linguaggio femminile sovraesteso” vuole essere un tentativo di compensare decenni di discriminazione di genere, tuttavia, potrebbe avere l’effetto contrario, finendo con il far sentire esclusi alcuni ragazzi e ragazze compromettendo quindi l’obiettivo di inclusione».
Giulia Clara Balestrieri spiega che «l’inclusione di cui tanto sentiamo parlare oggi, va oltre il semplice linguaggio e richiede un impegno concreto al fine di creare un ambiente accogliente e rispettoso per tutti gli studenti, indipendentemente dal genere, dall’etnia, dall’orientamento sessuale o da qualsiasi altra caratteristica personale. Riteniamo, infatti, che porre l’accento in modo così esasperato sulla diversità sia esso stesso un modo per discriminare»
Balestrieri poi pone alcune domande:«Rivolgersi nei confronti di tutti gli studenti con il genere femminile, a prescindere dal genere sessuale dei destinatari, possiamo davvero definirla una scelta di buon senso? Possiamo davvero dire che in questo modo tutti quanti si sentiranno rappresentati?