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Il Corpo mistico di Cristo per il modernista G. Tyrrell

francesco lamendola Jul 10, 2022

L’irlandese George Tyrrell (1861-1909), insieme ad Alfred Loisy e ad Ernesto Buonaiuti, è stato il capofila del modernismo: espulso dai gesuiti nel 1906, dopo la pubblicazione del suo libro Lex orandi, lex credendi, fu sospeso a divinis nel 1907, dopo aver preso pubblicamente posizione contro il decreto di Pio X Lamentabili sane exitu e l’enciclica Pascendi Dominici gregis, che condannava e scomunicava i modernisti come eretici formali. Prima di morire si confessò e ricevette l’estrema unzione, ma il suo vescovo gli rifiutò il funerale religioso in quanto non aveva ritrattato formalmente i propri errori.

Di lui ci eravamo già occupati con una certa ampiezza (vedi l’articolo George Tyrrell, ovvero l’eterna tentazione del modernismo, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 28/07/15); ne riparliamo adesso per prendere in considerazione ciò che egli dice a proposito della dottrina della Chiesa quale Corpo mistico di Gesù Cristo e rilevare come le sue idee abbiano trovato infine larga e convinta accoglienza nella Chiesa odierna, la quale si è spinta, in molte cose, perfino più in là dei modernisti della prima generazione: il che ci aiuterà a riconoscere le radici antiche di tanti errori odierni e a confermarci nella consapevolezza che le eresie del cristianesimo, sconfitte una ad una nel corso della storia, hanno poi trovato il modo, a partire dal Concilio Vaticano II, di fare irruzione e prendere il controllo della gerarchia, imponendo per così dire l’eresia dall’alto e come fatto di normale aggiornamento pastorale.

Scriveva dunque George Tyrrell in Cristianesimo al bivio (traduzione dall’inglese di P. Balducci, Roma, Enrico Voghera Editore, 1910; cit. in: Guido Davide Bonino [a cura di], Lunario dei giorni di quiete. 365 giorni di letture esemplari, Torino, Einaudi, 1997, pp. 419-421):

Francesco insegnò ai suoi seguaci la via per giungere a Cristo. La sua opera fu quella di un profeta. Ma la Chiesa di S. Paolo è il corpo mistico di Cristo - una estensione di quella umana struttura attraverso la quale il suo spirito e la sua personalità si comunicarono ai suoi discepoli, in modo, per così dire, sacramentale, e a guida di una persona che si fa sentire e non come di un maestro che impartisce una dottrina. In ambedue i casi ben esiste un rapporto; ma in quest’ultimo il pensiero parla al pensiero, nel primo lo spirito allo spirito. Nel primo è trasmessa un’idea, nell’altro una forza. A traverso il corpo mistico, animato dallo spirito, noi siamo portati in immediato contatto con il sempre presente Cristo; noi l’udiamo nel suo Evangelo, noi lo tocchiamo e lo sentiamo nei suoi sacramenti. Egli vive nella Chiesa non metaforicamente, ma realmente; egli trova un mezzo, sempre più adatto della propria parola, per completare e correggere quello offerto dalla sua mortale individualità. È così che, a traverso la strumentalità della Chiesa e i suoi sacramenti, la sua personalità è rafforzata e rinnovata in noi; che la forza del suo spirito è trasmessa e sentita. La Chiesa non è semplicemente una società o una scuola, ma un mistero e un sacramento; come l’umanità di Cristo, di cui essa è un’estensione.

Punto fondamentale della Chiesa  la concezione cattolica  di Gesù non come di un mero uomo, conformantesi alle ispirazioni dello spirito come di un’altra personalità, ma come il nome dello Spirito divino manifestantesi sotto l’umana forma.

Dove questa credenza è fallita, la Chiesa è soltanto una comunità di discepoli di un passato profeta, di un maestro che insegna un’età ed una mentalità che sono quasi interamente fuori uso, e di cui la personalità e l’esempio divengono sempre meno intellegibili ed illuminati quanto più esso recede verso un più remoto passato.

Comunque esplicata, questa concezione dello spirito e della personalità di Gesù è come immanente della Chiesa, come in contatto continuo con l’anima, attraverso di essa coi suoi sacramenti, soprattutto nel mistero della comunione, che è implicitamente la comunione della Sua personalità ed eterna, vita. È questa concezione che per il cristianesimo cattolico fa della Chiesa un sacramento piuttosto che una società: un sacramento non infirmato dalla meschinità dei “miseri elementi” attraverso i quali lo Spirito è comunicato.

Sebbene ad alcuni ciò sembri un’illusione, pure è un grande pensiero, una fede stimolante che getta via tutte le barriere di tempo e di luogo, fa Gesù presente in ogni anima, non soltanto immaginativamente, ma effettivamente, porta la sua forma umana, il suo volto, la sua voce, il suo nome alla «luce che rischiara ogni uomo, allo spirito che si rivela a se stesso nel primo raggio di conoscenza». Togliete questa fede in Cristo, e il cattolicesimo cessa di essere cristiano, anche se pur esso considera Cristo come fondatore, guida ed esempio. Date questa fede in Cristo e noi abbiamo la Cristianità anche là dove un’integrale tradizione cattolica manca: come nel cristianesimo evangelico di varie sette.

Fin dalle primissime righe di questa pagina appare evidente che chi scrive non è, non può essere un vero cattolico, e meno che meno un sacerdote; dalle espressioni contorte, lambiccate (quando la dottrina insegnata allora era chiarissima, di una trasparenza cristallina), che sconfinano in vere e proprie fumisterie, traspare l’atteggiamento d’ingenua presunzione intellettuale, ma anche di somma confusione teologica, di chi non si accontenta di ciò che il Magistero tramanda da sempre, ma vuol ridefinire cosa è il cristianesimo e lo vuole spiegare agli uomini moderni, cristiani e non cristiani, presumendo di avere infine compreso ciò che gli altri, fra i quali sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino, non hanno realmente compreso, e, soprattutto, di chi vuol puntare al massimo consenso possibile, senza andar troppo per il sottile, ammiccando in particolare alle sette protestanti in una sorta di ecumenismo avant la lettre che sarebbe molto piaciuto agli estensori della Nostra aetate e a tutti i cattolici-progressisti dei nostri giorni.

Tyrrell afferma che la Chiesa di san Paolo è corpo mistico di Cristo. Ora, in primo luogo non c’è una “chiesa di san Paolo”, perché, per usare le parole stesse dell’Apostolo (Galati, 1,6-9):

6 Mi meraviglio che così presto voi passiate da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo a un altro vangelo; 7 ché poi non c'è un altro vangelo, però ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.

8 Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. 9 Come abbiamo già detto, lo ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema.

E ancora, sempre san Paolo (1 Corinti, 11-13):

11Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 12Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo, «Io invece sono di Apollo, «Io invece di Cefa, «E io di Cristo.

13È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? 

In secondo luogo, il Corpo mistico di Cristo è la comunione dei Santi, semplicemente.

In terzo luogo, il Corpo di Cristo (non il Suo Corpo mistico) non fu soltanto una struttura umana attraverso la quale il suo spirito e la sua personalità si comunicarono ai suoi discepoli, in modo, per così dire, sacramentale: lasciamo perdere la sua “personalità”, che non c’entra nulla; e quanto al suo Spirito, certo che si comunicò ai discepoli in modo sacramentale, e non per così dire, ma nel senso più preciso dell’espressione.

In quarto luogo, è falso che l’azione sacramentale di Gesù Cristo si fece sentire in essi come la guida di una persona che si fa sentire e non come di un maestro che impartisce una dottrina. Gesù è venuto sulla terra a insegnare una dottrina, non solo a parole, ma anche con le azioni e l’esempio della sua stessa vita e della sua stessa morte. Da quando in qua l’appellativo di maestro non va più bene per definire Gesù nel suo rapporto coi discepoli? Essi lo chiamavano abitualmente con tale nome, e Gesù lo trovava appropriato (Giovanni, 13,13): Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Solo che la dottrina di Gesù è una cosa viva, è un’acqua viva che toglie la sete per sempre (cfr. Giovanni, 4,13-14), a differenza di quella dei farisei e dei dottori della Legge, che era una dottrina morta, adatta per le anime morte (cfr. Matteo, 8,22).

Indi il Tyrrell afferma la superiorità della trasmissione spirituale del Vangelo di Gesù rispetto a quella verbale: come se ci fosse differenza fra le due; inoltre la sua “trasmissione spirituale” non è quella soprannaturale, che si attua mediante la grazia e con la presenza dello Spirito Santo, ma “spirituale” in senso solo umano, ad esempio nel senso che a questa parola danno i platonici, gli ermetici, gli occultisti e gli spiritisti. E quando afferma che attraverso il Corpo mistico (ma la maiuscola l’abbiamo messa noi) animato dallo spirito, noi siamo portati in immediato contatto con il sempre presente Cristo, la cosa sembra sempre meno quella di cui parla la dottrina cattolica e sempre più quella dei teosofi, degli antroposofi, dei tradizionalisti integrali, degli Schuré o magari dei Guénon. Che cosa mai significa infatti «essere portati in contatto», come se fosse una seduta medianica, con «il sempre presente Cristo»? Se è sempre presente, non c’è bisogno di essere portati in contatto. Ma è sempre presente? Secondo la dottrina cattolica, no: è presente nel mistero del Sacrificio eucaristico, e in quello soltanto; altrimenti si cade in una forma di panteismo o comunque si svaluta l’assoluta eccezionalità della Presenza Reale. E in cosa consisterebbe, poi, la grazia di far parte del Corpo mistico di Cristo? Nel fatto che la sua personalità (di Gesù) è rafforzata e rinnovata in noi, anzi che la forza del suo spirito (lettera minuscola) penetra in noi. Di nuovo: la “personalità”, fatto umano, al posto del fatto soprannaturale della vita di grazia, che eleva l’anima al di sopra delle sue umane possibilità. In queste frasi si respira molta psicologia e perfino psicoanalisi (discipline verso le quali Tyrrell era assai attratto), ma pochissima autentica spiritualità cristiana: a meno che di voglia considerare spiritualità il fatto di aprirsi a ricevere la forza dello “spirito di Cristo”, inteso alla maniera degli spiritisti.

Poi, dopo una serie di passaggi verbosi e fumosi e di definizioni teologiche dubbie e traballanti, arriva l’ammissione finale: anche le sette protestanti, se hanno in sé la fede nel Cristo – sempre intesa come fede nello “spirito” e nella “personalità” di Lui – costituiscono la cristianità, anche se manca un’integrale tradizione cattolica. Frase che sembra voler dire chissà cosa e invece non significa nulla, perché è chiaro che chi professa la fede in Cristo appartiene alla cristianità, ma la cristianità non è ancora la vera Chiesa, il vero Corpo mistico, che è un concetto teologico e soprannaturale, mentre cristianità è un concetto storico e sociologico. Tutto il resto non è che retorica e confusione, come là dove il Tyrrell afferma che il punto fondamentale della Chiesa  è la concezione cattolica di Gesù non come di un mero uomo, che si conforma alle ispirazioni dello spirito (ma sta parlando dello Spirito Santo?) come di un’altra personalità, ma come il nome dello Spirito divino che si manifesta sotto forma umana. Non è davvero facile comprendere il senso di queste parole: tuttavia ci sembra di capire che egli qui tracci una linea di separazione fra la fede viva in Cristo, nome (?) dello Spirito Santo che veste una forma umana, e una fede morta, o inerte, perché formale, la quale vede in Cristo un uomo che si uniforma al volere di Dio. Su ciò siamo d’accordo: chi vede in Cristo un uomo, semplicemente non è cristiano.

Ma davvero è questo l’oggetto della critica di Tyrrell? Oppure egli ce l’ha, come tutto lascerebbe pensare, coi cattolici “formalisti”, i quali negano la qualifica di veri cristiani ai non cattolici? E cosa vuol dire che la fede in Cristo porta la sua forma umana, il suo volto, la sua voce, il suo nome alla «luce che rischiara ogni uomo, allo spirito che si rivela a se stesso nel primo raggio di conoscenza»? Se non sono soltanto parole, questa sembrerebbe piuttosto una forma di gnosi, e in ogni caso una “fede” che parla emotivamente all’anima, come in Renan e come in Loisy, ma non sulla base di una dottrina precisa e di una serie di elementi certi, quelli tramandati dalle Sacre Scritture e dalla Tradizione, bensì sulla base di una “ispirazione“ interiore, sostanzialmente sentimentale, per cui Gesù finisce per essere un’esperienza psicologica soggettiva, e la fede in Dio si riduce, insensibilmente e impercettibilmente, nella fede che l’uomo ha di Dio, vale a dire nella fede che l’uomo ha di se stesso, come colui che è capace di mettersi, da sé, in relazione con Dio…

 

 

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