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Il crollo demografico del Giappone è un campanello d’allarme per tutti

giappone universitari per la vita Feb 21, 2023

FONTE :  universitariperlavita.org

Nel suo discorso di inizio anno, il premier giapponese Fumio Kushida ha affermato che il suo Paese rischia di precipitare in una grave crisi economica e sociale se non riesce a invertire il preoccupante declino della sua popolazione, che mette a repentaglio il mantenimento della struttura sociale.

Nel 2022 sono nati meno di 800.000 bambini. Un numero che è reso ancora più impressionante dal confronto con il “baby boom” del 1973, quando nacquero 2.09 milioni di bambini. Le previsioni stimano che la popolazione giapponese potrebbe scendere sotto i 53 milioni nel 2100 (nel 2017 la popolazione ammontava a 128 milioni, nel 2021 è scesa a 125.7).

Il premier giapponese ha messo gli incentivi per la natalità tra le priorità della sua amministrazione. Il suo intento è creare un’economia e una società che mettano al primo posto i bambini, perché, come ha detto sempre nel suo discorso, “le politiche per l’infanzia e l’assistenza all’infanzia sono l’investimento più efficace per il futuro”. Ogni coppia che avrà un bambino riceverà 80.000 yen (564.96 euro) ogni anno. Una misura che, secondo l’economista Noriko Hama (grassetto nostro ndr.),

«non risolverà magicamente i problemi del Giappone. Non è semplicemente dando più soldi alle giovani coppie che saranno incentivati ad avere più figli. Il problema vero è la carenza di infrastruttura sociale che non dà sufficienti garanzie e sicurezze a chi vuole avere dei figli. […] finché non ci saranno miglioramenti in questo senso, il tasso di natalità non risalirà».

Come si è arrivati a questa situazione? Negli ultimi decenni, i Giapponesi hanno cominciato a sposarsi in età avanzata e ad avere meno figli, una tendenza che sembra dovuta principalmente a motivi economici, come riferisce la testimonianza di Ayako, domestica di Tokyo:

«Il denaro ricevuto dal governo è stato certamente utile quando è nato mio figlio e ne siamo grati, ma non ha coperto nemmeno le mie spese ospedaliere. Con mio marito vorremmo avere un secondo figlio, ma al momento abbiamo valutato che è impossibile. […] Spesso devo prendere permesso dal lavoro, e questo va a diminuire lo stipendio. Mio marito ha un lavoro più stabile, e il suo stipendio è rimasto uguale a prima della pandemia, ma i prezzi sono aumentati vertiginosamente negli ultimi mesi per articoli essenziali come cibo e benzina».

Il governo nazionale, le autorità regionali e molti comuni locali hanno tutti escogitato incentivi progettati per incoraggiare le persone ad avere famiglie più numerose, compresa l’offerta di auto e persino case senza affitto nelle regioni rurali che stanno subendo lo spopolamento più drammatico, ma alla maggioranza ha semplicemente promesso denaro. Questo approccio è stato definito “miope”, perché affronta solo parzialmente i problemi che affliggono le giovani coppie in Giappone oggi.

Ma non è solo l’economia che porta al calo della natalità, c’è anche un problema culturale, legato al fatto che sempre meno Giapponesi vogliono sposarsi e mettere su famiglia, perché preferiscono puntare su lavoro, hobby e vogliono sentirsi liberi, senza il vincolo di una famiglia. Secondo un report del 2022, il 25.4% delle donne trentenni e il 26.5% degli uomini della stessa fascia di età dichiarano di non volersi sposare. Allo stesso modo, poco più del 19% degli uomini di 20 anni e il 14% delle donne condividono i medesimi propositi. Il matrimonio viene visto come un ostacolo alla propria libertà e indipendenza, come riferito in questa testimonianza:

«Sono felice. Posso fare le cose che voglio, quando voglio e non devo pensare a nessun altro. Posso stare alzato fino a tardi giocando ai videogiochi o vedere qualsiasi film al cinema che voglio, oppure posso incontrare i miei amici. Mi piace. Alcuni dei miei amici si sono sposati, ovviamente, ma sono cambiati e non li vedo più così tanto. Questo è un bene per loro, ma avere una ragazza o essere sposati sembra essere semplicemente problematico».

A inasprire ulteriormente questa situazione ci ha pensato la pandemia, andando ad alimentare le già presenti insicurezze e paure. Aya Fujii, una psicologa che fornisce supporto per la salute mentale a un programma di assistenza all’occupazione gestito dal governo a Tokyo, sottolinea come il tasso di natalità in Giappone sia in calo dagli anni ’70, ma che ora il problema si è acuito (grassetto nostro ndr.):

«Ci sono diverse ragioni. Una è che, a differenza di altri paesi, i salari qui sono rimasti sostanzialmente gli stessi per molti anni. E questo significa che molti giovani vedono come un onere finanziario eccessivo cercare di avere una famiglia. Collegato a ciò, sempre più donne hanno scelto di rimanere nel mondo del lavoro invece di lasciarlo per dedicarsi famiglia, ma un buon numero ha scoperto che in realtà gli piace fare carriera e vuole continuare. Le pressioni di un lavoro, tuttavia, rendono ancora più difficile avere una famiglia; quindi, sempre più donne lavoratrici di questa generazione rimangono single.

Vedo anche che a molti giovani ora piacciono i fumetti manga e gli spettacoli di anime. Lo preferiscono all’incontro e al parlare con le persone nella vita reale. I personaggi nei manga e negli anime non discutono o rispondono male e questo è semplicemente più facile per molte persone. Penso che molti giovani oggi abbiano carenze nelle abilità sociali e questo è aggravato dal fatto che molte famiglie hanno solo un figlio, quindi quel bambino sta crescendo senza interagire o sviluppare le abilità sociali di cui avrà bisogno in seguito. Alla fine, i giapponesi tra i 20 ei 30 anni che non sono in grado di comunicare con membri del sesso opposto troveranno più difficile trovare un partner e il calo della popolazione continuerà».

La pandemia ha avuto anche un altro effetto: un aumento delle vendite di animali da compagnia, per contrastare la solitudine e la noia dovute ai lockdown, come spiega Chris Dunn, dirigente della Pet Planet (azienda che produce cibo per animali ndr.):

«C’è stato un evidente incremento nelle vendite nel corso del 2020, dovuto al fatto che più persone stanno acquistando cani e gatti. Vogliono investire denaro per dare loro il miglior cibo disponibile. Lo scorso anno, le persone hanno dovuto passare una sacco di tempo chiuse in casa e velocemente si sono sentite sole e annoiate. Volevano una distrazione e, allo stesso tempo, un po’ di compagnia, e un cucciolo rappresenta la soluzione perfetta a questi problemi».

Sembrerebbe realizzarsi ciò che l’eugenista Caleb Williams Saleeby scriveva nel 1924:

«L’istinto parentale sarà magari forte in noi come negli uomini e nelle donne del passato, ma altri istinti e desideri hanno un grande richiamo. Sono disponibili cani e gatti, con manifesti vantaggi rispetto ai figli, e i nostri istinti parentali possiamo soddisfarli con loro»1.

Questa situazione del Giappone dovrebbe mettere in guardia non solo i cittadini, ma anche i governi degli altri Paesi, perché se in Giappone certe tendenze sono sicuramente più marcate e accentuate, non si può negare che anche in Italia (e altri Paesi occidentali) una certa cultura si stia diffondendo: priorità al lavoro e ai propri interessi; matrimonio tendenzialmente in tarda età (quando ci si sposa, e comunque non è detto che si abbia intenzione di avere dei figli); casi di isolamento dei giovani nel mondo virtuale. Una società sempre più formata da persone ripiegate su sé stesse, incapace di una vera apertura all’altro. Anche qui il lavoro da compiere è innanzitutto culturale, e tutti possono dare il loro contributo: le famiglie che testimoniano la bellezza della vocazione al matrimonio, la scuola che educhi i giovani, la Chiesa che aiuti a ridare speranza a un mondo sempre più asfittico e depresso. Suonano molto attuali queste parole di Giovanni Paolo II, tratte dalla sua lettera Gratissimam Sane:

«Ma è poi vero che il nuovo essere umano è un dono per i genitori? Un dono per la società? Apparentemente nulla sembra indicarlo. La nascita di un uomo pare talora un semplice dato statistico, registrato come tanti altri nei bilanci demografici. Certamente la nascita di un figlio significa per i genitori ulteriori fatiche, nuovi pesi economici, altri condizionamenti pratici: motivi, questi, che possono indurli nella tentazione di non desiderare un’altra nascita. In alcuni ambienti sociali e culturali poi la tentazione si fa più forte. Il figlio non è dunque un dono? Viene solo per prendere e non per dare? Ecco alcuni inquietanti interrogativi, da cui l’uomo d’oggi fa fatica a liberarsi. Il figlio viene ad occupare dello spazio, mentre di spazio nel mondo sembra essercene sempre meno. Ma è proprio vero che egli non porta niente alla famiglia ed alla società? Non è forse una « particella » di quel bene comune, senza del quale le comunità umane si frantumano e rischiano di morire? Come negarlo? Il bambino fa di sé un dono ai fratelli, alle sorelle, ai genitori, all’intera famiglia. La sua vita diventa dono per gli stessi donatori della vita, i quali non potranno non sentire la presenza del figlio, la sua partecipazione alla loro esistenza, il suo apporto al bene comune loro e della comunità familiare»2.

È difficile contrastare l’inverno demografico, ma non impossibile. Ci sono parecchi motivi per essere sfiduciati, ma nessuno tanto forte da rinunciare a investire nella vita.

 

Riferimenti

  1. C. Williams Saleeby, The Sociological Review, 16 (luglio 1924), pp. 251-253. Questo documento è riportato nell’Appendice D dell’edizione 2008 di Eugenetica e altri malanni di G.K. Chesterton, pubblicata da Cantagalli, p. 262.
  2. Papa Giovanni Paolo II, Gratissimam Sane, n. 11.

 

 

 

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