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Il mostro pandemico chiede in sacrificio i nostri figli

Nov 09, 2021

Partiamo da un aspetto collaterale, almeno in apparenza: è stato abrogato il diritto al raffreddore, che fino a ieri, e da che mondo è mondo, gli scolari potevano liberamente esercitare nella stagione autunno-inverno, per definizione quella dei malanni.

Al primo starnuto bisogna stare a casa, e fino a qui tutto bene. Ma poi, scomparsi i sintomi, uno che pensi di rientrare a scuola con la solita vecchia giustificazione, si scontra con una realtà ben più complicata. La guarigione clinica, oggi, è condizione non necessaria (si può essere legittimamente malati di tutto il resto, tranne che del virus universale) né sufficiente per tornare in aula. Secondo la corrente di pensiero che va per la maggiore, occorre, prima, completare una gimkana di prove del tutto sproporzionate all’entità dell’accadimento e alla sua prevedibile frequenza. Si parla sempre di un naso che cola, o simili, giusto per ricordare.

Il fatto è che, come è ormai acclarato, il regime fantasanitario si declina liberamente secondo l’estro dell’esecutore di turno – dirigente, docente, bidello – e il buon senso, che da tempo non abita più col senso comune, si è fatto appannaggio di una minoranza ridotta al lumicino. Che, a incapparvi, ci si sente baciati dal favore degli dei e, nel caso, conviene pure mantenere un complice riserbo.

Dunque uno scolaro sano, reduce da un’assenza di uno, due, tre giorni, rischia il pubblico ludibrio se non si ripresenta all’appello corredato di referti e certificati. Non perché qualche norma lo prescriva, no, ma perché la prassi filopandemica ha conquistata la licenza, per chiunque, di avanzare impunemente qualsiasi pretesa burocratica improntata all’estremismo sanitario, brandendo l’arma non convenzionale della denigrazione e del discredito.

In sostanza, cosa bisogna fare davanti a un raffreddore giunto alla sua fine naturale? Bisogna cercare il pediatra, trovare il pediatra, spiegare al pediatra, vedere il pediatra, ottenere una carta del pediatra; attaccarsi al telefono per mendicare un tampone senza prenotazione anticipata (come si può prevedere l’insorgenza e la durata del malanno?), recarsi in farmacia, insinuarsi in mezzo a interminabili liste di attesa, aspettare il proprio turno, pagare il tampone (che non è gratuito), ringraziare il farmacista per la grazia ricevuta. Bisogna, soprattutto, lasciare il proprio tributo nelle fauci informatiche del nuovo Leviatano, addestrato a trangugiare i connotati dei suoi sudditi per inglobare la loro identità.

Ecco la trafila invalsa nell’uso comune per liberare un bambino dagli arresti domiciliari e riportarlo alla vita normale dopo un raffreddore, mentre – va segnalato a onor di completezza – partono ogni giorno interminabili quarantene di gruppo per la positività di soggetti plurivaccinati (ma allora, il tesserino verde cosa assicura? Non è piuttosto un moltiplicatore occulto di contagi?).

Ora, in questo teatro dell’assurdo ormai del tutto fuori controllo, il danno non consiste solo o tanto nel dispendio di tempo, soldi ed energie, a corollario fisso di accadimenti che rientrano nell’ordine della normalità stagionale.

Il danno vero risiede nel coartare bambini e ragazzi ad assolvere adempimenti straordinari per fenomeni ordinari, abituandoli a sottoporsi a pratiche vessatorie, e ripetute, come condizione per vivere la loro sacrosanta quotidianità. In nome della preminenza della presunta e cosiddetta salute collettiva sull’esercizio di ogni diritto e ogni libertà, la loro vita è sottratta alla naturalezza dei tempi, dei modi, delle circostanze, per cedere a una esasperata e pervasiva medicalizzazione.

D’altra parte, un ilare e saltellante ministro della Repubblica lo ha scandito senza infingimenti, dal palco televisivo, che il tampone è uno strumento di tortura da infliggere a volontà, in vista di una “dolce” persuasione ad accettare altri trattamenti sanitari, più invasivi e dalle conseguenze imprevedibili quanto irreversibili.

D’altra parte, le sindromi post-traumatiche da stress, le depressioni, i suicidi tentati e consumati, tutta la sofferenza patita dai più giovani, di tutte le fasce di età, gravati ad arte dal peso di una responsabilità che non appartiene loro, nemmeno sfiorano la sensibilità della manovalanza governativa, reclutata solo per recitare un copione scritto da ineffabili padroni. Un’adeguata dose di cinismo è l’unica dote indispensabile per rendersi sicari efficienti e imperturbabili del piano di annientamento fisico, culturale, spirituale, che, come suo bersaglio principe, punta sulle nuove generazioni.

Sono loro le vittime designate. Da tempo quei padroni, per il tramite di inservienti scelti e subalterni assortiti, hanno messo le mani sui bambini, per manipolare la loro psiche, omologare i loro pensieri, sfregiare la loro innocenza. E sui ragazzi più grandi, per conformarli, indottrinarli, lobotomizzarli, e conquistarli così alla sequela del nulla.

Da tempo i luoghi di rieducazione etico-sociale collettiva, in prima fila la scuola, hanno corroso lo spazio di azione della famiglia che, nel mentre, veniva programmaticamente mortificata e dissolta proprio per favorire ogni sorta di abuso sui suoi frutti naturali.

Il risultato, nel momento dell’attacco finale, è che, senza colpo ferire, possa essere considerata una “priorità” somministrare ai più piccoli un trattamento sanitario sperimentale di massa, capace di alterare il loro assetto genetico e immunitario, col pretesto paradossale di prevenire un morbo che non li colpisce nemmeno di striscio. Un fàrmacon, quindi, che può produrre solo effetti dannosi – ed infatti li sta inesorabilmente producendo. Tecnicamente, un veleno, come svela il senso custodito nell’etimo antico.

Eppure impazza la campagna promozionale dei giullari di corte, che dai pulpiti istituzionali, parascientifici, ecclesiastici e televisivi, strombazzano alle orecchie di genitori invertebrati, in gran parte già previamente storditi da una propaganda orientata da decenni, con scientifica pervicacia, verso un unico obiettivo, prima mascherato e ora più che mai evidente.

Le prove generali si erano già concluse al riparo dell’inconsapevole consenso dei più. Troppe cavie sono già state sacrificate a quel moloch che, seminascosto dietro il paravento della democrazia, oggi tiene luogo dello Stato.

Le principali pedine del gioco perverso ormai si aggirano smascherate, e sono sempre le stesse, e dalla loro aderenza alla scacchiera del potere si misura quanto il disegno fosse risalente e dettagliato: il balletto di una manciata di figuranti si balla all’interno dello spazio triangolare che va tra palazzo Chigi dove si esegue, il Quirinale dove si ratifica e la Consulta dove si sentenzia, secondo costituzione rivista e corretta. Guardacaso, chi scrive le sentenze costituzionali si sposta poi in altri scranni ad applicarle.

Ma a quale furia distruttiva si sia giunti, con travolgente accelerazione, è immortalato ora nelle pronunce giurisdizionali, ormai di moda, con cui si autorizza la vaccinazione dei minori nonostante la volontà contraria di uno o di entrambi i genitori. Basta un allineato, insomma, e quello vince, fosse anche il cagnolino di casa. È in questo epilogo raccapricciante che si manifesta con sconvolgente brutalità il piano diabolico di disintegrazione della famiglia, che raggiunge il suo definitivo compimento attraverso l’utilizzo dei figli come scudi umani, dentro una lotta fratricida e suicida che fa strame in un colpo solo dell’amore materno, paterno, filiale, coniugale, della pietas, della solidarietà e della libertà inviolabile di un nucleo creato per essere sacro, isola di autonomia e di dedizione disinteressata.

Intanto, chi dovrebbe rappresentare la nazione, in attesa dei funerali batte il seguente telegramma: «Giovani accettino rischi, Paese ne ha bisogno».

Sottostimano, costoro, la forza dell’Italia migliore. Che è disposta a tutto pur di proteggere i suoi figli.

fonte: https://www.ricognizioni.it/il-mostro-pandemico-chiede-in-sacrificio-i-nostri-figli/

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