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Il Simbolo atanasiano: Dio è uno in tre Persone

francesco lamendola Dec 28, 2022

di Francesco Lamendola

Senza dubbio l’unità e la trinità di Dio è, insieme a quello della Incarnazione del Verbo, il più grande, il più abissale, il più sconcertante mistero – dal punto di vista della la ragione umana - su cui si basa la fede cattolica. Per definirlo, sono stati necessari lunghi anni di confronti, di discussioni, di scontri anche assai aspri, che non è qui il caso di rievocare. Basti sapere che la professione di fede cattolica, su questo punto, si basa su cosiddetto Simbolo atanasiano, perché  tale confessione di fede è opera soprattutto del vescovo di Alessandria d’Egitto, Atanasio (dal 295 al 373), che riuscì ad imporre e a far approvare dalla Chiesa il suo parere, vincendo le forti resistenze dei suoi oppositori e specialmente dei seguaci del monaco e teologo Ario (256-336), le cui idee relative alla creazione del Figlio da parte del Padre vennero formalmente condannate come eretiche nel Primo Concilio di Nicea (325). Nonostante un’effimera ripresa e una tenace resistenza dei numerosi vescovi passati all’arianesimo (nella cui forma, tra l’altro, avevano iniziato a convertire i popoli germanici confinanti con l’Impero, il che sarà causa di successivi problemi) nel corso del IV secolo, il Primo Concilio di Costantinopoli (381) definì e approvò in modo risolutivo il Simbolo niceno-costantinopolitano. Il quale, nel testo latino (Myssale Romanum, editio typica tertia, 2002), suona così:

 

 

Credo in unum Deum,
Patrem omnipoténtem,
Factorem cæli et terræ,
visibílium ómnium et invisibilium
Et in unum Dóminum Iesum
Christum,
Filium Dei unigénitum
et ex Patre natum
ante ómnia sǽcula:
Deum de Deo, Lumen de Lúmine,
Deum verum de Deo vero,
génitum, non factum, consubstantiálem Patri: per quem ómnia
facta sunt;
qui propter nos hómines
et propter nostram salútem,
descéndit de cælis, et incarnátus est
de Spíritu Sancto ex Maria Vírgine
et homo factus est, crucifíxus étiam
pro nobis sub Póntio Piláto, passus
et sepúltus est, et resurréxit tértia
die secúndum Scriptúras,
et ascéndit ad cælus, sedet ad
déxteram Patris, et íterum ventúrus
est cum glória, iudicáre vivos et
mórtuos, cuius regni non erit finis.
Credo in Spíritum Sanctum, Dominum et vivificántem, qui ex Patre
Filióque procédit, qui cum Patre et
Fílio simul adorátur et conglorificátur, qui locútus est per prophétas.
Et unam sanctam cathólicam
et apostólicam Ecclésiam.
Confíteor unum Baptísma
in remissiónem peccatórum.
Et exspécto resurrectiónem mortuórum,
et vitam ventúri sæculi.
Amen.  

 

Per la ragione umana, sostanza è quasi sinonimo di natura, e si discosta poco dal concetto di essenza.

Per essere precisi, possiamo precisare che l’essenza indica la ragione intima di una cosa, ciò per cui essa è propriamente quella che è; sostanza è l’essenza in quanto è in una cosa sussistente in sé e per sé; natura è il più delle volte sinonimo di essenza, però, in termini più precisi, sta ad indicare l’essenza in quanto è il principio di modificazione e di attività: la ragione ultima dell’attività ridiede nella natura delle cose (natura da nasci, nascere). Così l’ottimo Bernhard Barthmann nel suo Manuale si Teologia Dogmatica, vol. 1, 1952, p. 248).

Noi siamo portati a identificare la natura, l’essenza di una cosa, la sua sostanza, con la persona: tante persone, tante sostanze e tante nature. Ma questo è, ovviamente, un modo di ragionare puramente umano; ed è corretto ma solo nel suo ambito. Ora, alla realtà naturale si soprappone la realtà soprannaturale, che è costituita, essenzialmente, dalla grazia, la quale si aggiunge alla natura, la perfeziona, l’arricchisce, ma non la svuota, né la contraddice. E, ovviamente, la grazia non si lascia afferrare dagli strumenti della ragione naturale come un oggetto ordinario: perché la ragione naturale serve a comprendere le cose umane e terrene, mentre per comprendere (parzialmente) le cose divine e celesti, è necessario l’aiuto soprannaturale.

Ciò premesso, ricordiamo la definizione della persona data da San Tommaso d’Aquino (Summa Theol.,I,29,3):

Persona significat id quod est perfetctissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura. Unde cum omne illud quod est perfetcionis, Deo sit attribuendum eo quod eius essentia continet in se omnem perfectionem, conveniens est ut hoc nomen persons de Deo dicatur.

Dunque, se la persona è la cosa più perfetta che esista in natura, la persona più perfetta n on potrà che essere Dio, il quale ha in se stesso le ragioni del proprio esistere, del proprio agire e della propria beatitudine. Egli è inoltre il vaso di tutte le perfezioni, e ciò ch’è perfetto fuori di Lui, diventa imperfetto paragonato a Lui: sicché non esiste alcun termine di perfezione che gli si possa, non diciamo essere paragonato, ma neppure lontanamente accostato.

Ora, non vi è dubbio che, umanamente ragionando, ad una persona deve corrispondere una certa natura, e quella soltanto, caratterizzata da una determinata sostanza e da una determinata essenza. Ma Iddio, nel mistero ineffabile della Santissima Trinità, va oltre questi schemi mentali: Egli possiede una sola essenza,  una sola natura, una sola sostanza, e tuttavia in Lui vi sono tre Persone: (non tre diversi dèi!): il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Non dunque tre divinità distinte, una un unico Dio in tre Persone.

La risoluzione di queste apparenti antinomie si trova da un lato nell’uso analogico del linguaggio,  dall’altro nel concetto chiave di ipostasi. Quando adoperiamo espressioni come “la natura di Dio”, “la sostanza di Dio, lo facciamo in senso analogico, cioè per analogia con le creature finite: ma analogia non significa identità. Le parole natura, sostanza, essenza, sottintendono la condizione creaturale, mentre se le adoperiamo riguardo a io, le usiamo in modo eminente, cioè nel senso che egli non partecipa di esse, bensì le possiede in maniera assoluta e incondizionata. L’ipostasi, poi, è la sostanza che non fa parte di un tutto, ma è sostanza assolutamente completa, esistente in sé e per sé. tutte le sostanze finite sono parte di un tutto, che le comprende e le condiziona: Dio no. L’ipostasi divina, sussistente in sé, è la persona più perfetta fra tutte le sostanze: a Lei non si applicano le leggi cui soggiacciono esse.

Scrive con esemplare chiarezza mons. Francesco Olgiati (Busto Arsizio, 1° gennaio 1886- Milano, 21 maggio 1962)  nel suo Il Sillabario del Cristianesimo (Milano, Società Editrice “Vita e Pensiero”1933, 1963, ci. In: Gennaro Nardi, Catholica Fides, Napoli, Luigi Loffredo Editore, 1963, vol. 1, pp. 63-64):

SIMBOLO ATANASIANO

La fede cattolica è questa: che noi veneriamo un solo Dio nella Trinità e la Trinità nell’Unità.

Non confondendo le persone, né separando la sostanza.

Poiché altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio ed altra quella dello Spirito Santo.

Ma una è la divinità del Padre  e del Figlio e dello Spirito Santo: eguale è la gloria; coeterna la maestà.

Quale il Padre, tale il Figlio, tale lo Spirito Santo.

Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo.

Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo.

E  tuttavia non vi sono tre eterni, ma uno è l’eterno.

Come pure non vi sono tre increati o tre immensi, ma uno è l’increato e uno è l’immenso.

Parimenti è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo.

E tuttavia non vi sono tre onnipotenti, ma uno è l’onnipotente.

Così, il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio.

E tuttavia non vi sono tre Dèi, ma uno solo è Dio.

Così Signore è il Padre, Signore è il Figlio, Signore è lo Spirito Santo. Poiché, come in nome delle verità cristiane siamo obbligati a riconoscere singolarmente ogni persona quale Dio e Signore, così in nome della religione cattolica abbiamo la proibizione di parlare di tre Déi o Signori.

Il Padre da nessuno è stato fatto, né creato, né generato.

Il Figlio è dal solo padre; ma non è fatto né creato da Lui, bensì è da Lui generato.

Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio; ma non è fatto, né creato, né generato, ma procede da Loro.

Uno dunque è il Padre, né vi sono tre Padri; uno è il Figlio, né vi sono tre Figli; uno è lo Spirito Santo, né vi sono tre Spiriti Santi.

Ed in questa Trinità non v’ha nulla che sia prima o dopo. nulla che sia maggiore o minore, ma tutte le tre Persone sono coeterne e coeguali.

Cosicché, come già s’è detto sopra, è da adorarsi l’Unità nella Trinità e la Trinità nell’unità.

Chi dunque vuol essere salvo, questo Ritenga della Trinità…

CONTEMPLANDO IL MISTERO DELLA SS. TRINITÀ

Spesso, chi contempla il mare od ammira l’oceano, sente un sa forza misteriosa che lo soggioga; è la voce di quelle onde. L’occhio tenta spingersi avanti; ma invano vuol dominare, invano cerca il termine di quelle acque, che si stendono lontano lontano, e ci danno la sensazione dell’infinito. Avviene questo, anche per il mistero della Trinità. Iddio ci prende e ci conduce dinanzi all’oceano della sua Essenza, grande, immensa, infinita. Noi cerchiamo di abbracciarla con l’occhio avido della debole ragione; ma sentiamo il nulla dell’intelligenza nostra, la vana nostra superbia. E come un giorno, a Genova, dall’alto del Palazzo Doria, Giuseppe Verdi e Giosuè Carducci, e rapiti in contemplazione, davanti al mare ligure, ruppero il silenzio, dicendo ciascuno: «Io credo in Dio»; così noi, davanti al mare misterioso del Dio uno e trino, cantiamo gloria al Padre4, al Figlio, allo Spirito Santo.

Speriamo, con ciò, di avere almeno acceso un pallido lumino in questo enorme mistero. Sul quale ci proponiamo di tornare, ben consci che una più adeguata trattazione richiederebbe volumi su volumi.

 

 

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