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Il sogno di Pio XII di far nascere una nuova Italia

francesco lamendola Jul 12, 2022

di Francesco Lamendola

Allorché l’Italia è uscita (in pezzi, materialmente e moralmente) dalla Seconda guerra mondiale e dai diciotto mesi della guerra civile del 1943-45, paradossalmente si è aperta, per l’ultima volta, una ‘finestra’ mediante la quale il popolo italiano avrebbe potuto ricostruire la propria identità nazionale e la propria coscienza morale, insomma ritrovare se stesso e, nonostante la pesante menomazione della propria sovranità, frutto appunto della disastrosa e umiliante sconfitta, riprendere e portare a compimento il processo risorgimentale iniziato (male) e mai portato a termine, poi tragicamente interrotto dai fatti dell’8 settembre 1943.

In un certo senso, proprio perché sconfitto e umiliato, proprio perché sottoposto alla pressione dei vincitori, occulta e palese, il popolo italiano avrebbe potuto fare quadrato attorno alle proprie tradizioni millenarie e tornare ad esse, dopo aver preso a modello tradizioni a lui estranee, per cercarvi e trovarvi quelle risorse spirituali che gli avrebbero consentito, reso più forte e più saggio dalle sventure sopportate e dalle delusioni patite, di riprendere la strada interrotta della propria evoluzione storica. Imparando a contare di più su se stesso e meno su interventi stranieri (anche di natura economica, come il Piano Marshall) che non erano certo disinteressati e che avrebbero comportato la rinuncia definitiva, se accettati quasi come un’elemosina immeritata, a ritrovare il proprio orgoglio e la necessaria stima di se stesso, uscita pressoché distrutta dalla “morte della Patria” del settembre 1943. Un’autostima senza la quale – per usare un crudele ma esatto aforisma adoperato da Charles De Gaulle nel corso di un’intervista a Indro Montanelli - un Paese povero è destinato a restare solo un povero Paese.

Pio XII ebbe la visione di questa possibile rinascita dell’Italia, che comprendeva l’accettazione dei Patti Lateranensi da parte dello Stato italiano post-fascista, monarchico o repubblicano che fosse divenuto (lui lo avrebbe preferito monarchico, e sia pure d’una dinastia massonica come i Savoia) e il recupero di quel sentimento cattolico ch’era tuttora maggioritario nel popolo e che nella vicenda risorgimentale era stato sacrificato e schiacciato dal prevalere delle forze anticattoliche, sia liberali che democratiche. L’esclusione delle masse cattoliche contadine era stata la grande deficienza del Risorgimento: bisognava ripartire da lì, da un cattolicesimo sociale che desse voce alla maggioranza silenziosa del popolo italiano e costringesse le classi dirigenti a tener conto dei suoi legittimi bisogni; meglio ancora: dall’avvento di una nuova classe dirigente di matrice cattolica, che aveva fatto le prime prove, negli anni 1919-25 col partito Popolare di don Sturzo ma era stata ammaestrata dalle dure esperienze a non riporre più alcuna fiducia nell’alleanza con partiti nati nel solco di altre ideologie, incompatibili col cattolicesimo (e l’incompatibilità, i fatti e non le teorie lo avevano mostrato, erano più col social-comunismo in piena ascesa, portato dal “vento del Nord”, che con l’ormai debellato fascismo). E bisognava che questa nuova classe dirigente di formazione cattolica recuperasse quanto c’era di autentico e di vivo nella coscienza nazionale degli Italiani, il caldo e sincero amor di Patria che la sconfitta del 1945 aveva troppo depresso e ingiustamente mortificato. In tal modo sarebbe stato proprio il cattolicesimo a far rivivere e risollevare il sentimento patriottico, visto che, nei decenni durante e dopo l’Unità, il sentimenti patriottico monopolizzato dai liberali e dai massoni aveva cerato di deprimere e mortificare in ogni modo il sentimento cattolico degli Italiani.

Insomma Pio XII immaginava un’assoluta egemonia politica dei cattolici, capaci, a suo giudizio – e la storia gli avrebbe dato ragione – di raggiungere la maggioranza assoluta nel Paese e quindi nel Parlamento, e di avviare una nuova stagione della politica nazionale, che riprendesse il filo interrotto della via nazionale alla modernità, rifiutando sia l’internazionalismo di matrice marxista, sia l’americanismo con le sue seduzioni consumiste, edoniste e tendenzialmente materialiste e neopagane.

Questo ambizioso disegno, in funzione del quale venne creato il Movimento per un mondo migliore di padre Lombardi, è stato tratteggiato in una pagina interessantissima del libro - secondo noi non sufficientemente apprezzato e soprattutto non abbastanza meditato, perché dietro la forma del romanzo è pieno zeppo di dati reali e di analisi acute - del giornalista e vaticanista Carlo Falconi (1915-1998) che fu sacerdote dal 1938 al 1949, L’uomo che non divenne papa (Milano, Mondadori, 1979, pp. 88-90):

 

LA NUOVA ITALIA DEL SOGNO PACELLIANO.

Conversazione di monsignor Van der Meer (giugno 1947). Secondo il mio maestro, lo schema della politica italiana di Pio XII all’inizio del dopoguerra vedeva abbinate due linee di condotta: una prettamente politica e l’altra prettamente religiosa. La prima era tesa a realizzare soprattutto due obiettivi: la conferma dei Patti Lateranensi da parte della nuova Costituzione e la vittoria politica a maggioranza assoluta del partito cattolico (Democrazia Cristiana). Precedentemente e subordinatamente, avrebbe cercato di garantire la sopravvivenza del regime monarchico. E questo finora era stato l’unico obiettivo fallito, anche se per poco. Le elezioni del 2 giugno 1946 per la Costituente avevano rivelato la massiccia compattezza del fronte cattolico e la sua determinazione a far trionfare le attese pontificie. Infatti nel maggio del ’47 l’inclusione dei Patti Lateranensi nel nuovo atto fondamentale dello Stato era divenuta realtà (con l’approvazione del famoso articolo 5).

Quanto alla linea religiosa, e cioè alla realizzazione di un autentico movimento di risveglio fideistico del popolo italiani, Pio XII aveva  progettato un doppio programma che prevedeva, da una parte, una crociata propagandistica di risonanza affidata ad un solo oratore, e dall’altra una vera e propria mobilitazione pietistica di tutto il paese attorno ai propri santuari mariani. A proposito della crociata propagandistica, papa Pacelli aveva scartato decisamente una programmazione artificiale e contemporanea per tutta la penisola di massicce predicazioni, perché avrebbe tradito una volontà preordinata d’influenza che sarebbe stata accolta von giustificata ostilità. Era ingenuamente utopistico infatti credere di provocare un profondo risveglio religioso di masse con la precettazione ad un ascolto generale contemporaneo di predicatori d’ufficio: occorreva preservare ad ogni costo la spontaneità e la libertà dei fedeli. I comizi politici avrebbero certamente costituito una novità: i comizi religiosi non potevano esserlo o sarebbero stato accolti come degli inutili e sgraditi doppioni. In tutta la storia dei risvegli religiosi sono sempre le grandi personalità singole a costituire i movimenti di maggior risonanza. L’entrata in azione di un solo individuo, oltretutto, costituisce un fulcro di interesse insospettabile, favorendo la mitizzazione del personaggio in proporzione inversa appunto al suo isolamento e alla sua fragilità. E poiché non si poteva ricorrere ad elementi già sfruttati, i quali avrebbero tolto all’iniziativa la caratteristica più avvincente, quella della novità del personaggio, si doveva puntare su un elemento ancora oscuro ma sicuro [e cioè il gesuita Riccardo Lombardi, 1908-79, fondatore del Movimento ecclesiale “Per un mondo migliore”] il quale avrebbe dovuto rivelarsi come per caso ma in modo così perentorio da goder subito della massima notorietà. Di qui il progetto di appoggiarlo mediante un’organizzazione di propaganda occulta capace di agire senza mai venire individuata e svelata.

Altra condizione posta dal papa fu che il messaggio da bandire al popolo italiano dovesse essere insieme religioso e civile-patriottico. Non doveva trattarsi, cioè, secondo lui, di una predicazione morale diretta al recupero esclusivo delle anime e quindi destinata più che altro ai singoli, bensì una predicazione diretta all’intero popolo italiano come tale perché insieme solidalmente tornasse a rendersi consapevole delle sue più alte tradizioni religiose e patrie: l’elemento religioso dovendo riportarlo ad un modo nuovo e più intenso di vita ecclesiastica, mentre l’appello patriottico, a sua volta, doveva provocare il rigetto di tutte le ideologie esterofile, specie di quelle che, per il loro internazionalismo, si presentavamo fatalmente come tombe dei valori e delle glorie nazionali. Slogan come “Roma o Mosca”, “Roma o morte”, divenivano quasi i poli obbligati di una predicazione destinata a immancabili successi.

 

Le cose poi non andarono precisamente come Pio XII aveva immaginato, o vi andarono solo in parte, perché il partito cattolico nacque e conquistò la maggioranza assoluta nelle prime elezioni generali del dopoguerra, nel 1948; ma non seppe conquistare l’egemonia culturale e anzi lasciò, in un tacito patto di convivenza coi social-comunisti, che la cultura e le sue massime istituzioni venissero egemonizzate dalle sinistre. Col risultato che, nel giro di neppure una generazione (venti anni: dal 1948 al 1968), tutto il quadro della società italiana venne spostato fortemente a sinistra e che gli stessi cattolici, benché ancora maggioritari nel Pese, subissero l’influenza dell’ideologia marxista molto più di quanto la sinistra subisse l’influenza cattolica. Una forte componente di sinistra nella stessa Democrazia Cristiana e nell’area culturale cattolica si era manifestata sin dall’immediato dopoguerra, come si vide nel gruppo dei “professori” e più specificamente nel dossettismo; ma fu negli ani successivi, col sindaco La Pira a Firenze, con l’esperienza dell’Isolotto e col prete don Milani a Barbiana, che tale orientamento anomalo di una parte del mondo cattolico emerse chiaramente ed inequivocabilmente. Quando poi venne il 1968 e il post Sessantotto, si vide che molti esponenti di punta del movimento studentesco, come Mario Capanna, e poi delle stesse Brigate Rosse, come Renato Curcio, venivano proprio dall’area culturale cattolica di sinistra: e fu allora chiaro quale errore catastrofico fosse stato, da parte della Democrazia Cristiana, orientarsi per una convivenza con la cultura di sinistra, che era divenuta subalternità e aveva tolto al cattolicesimo sociale la sua stessa ragione di esistere, nel senso che ne aveva fatto una copia (non molto riuscita) della lotta di classe marxista e delle analisi economiche marxiste sul rapporto fra capitale e lavoro e sulla natura della proprietà privata.

Oltre a questi fattori interni allo stesso mondo cattolico, Pio XII aveva decisamente sottovalutato la formidabile potenza di attrazione dell’altro grande modello socio-economico e culturale, quello dell’americanismo, destinato a inquinare e impoverire gradualmente, sino a desertificarla, l’autentica coscienza cristiana e la visione propriamente cattolica dell’uomo, della società e della natura. Per cui l’attuale deriva verso un ambientalismo ed un ecologismo estremi, di fronte ai quali l’uomo non è, per dirla col ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che un parassita biologico, e davanti alla cui religione laica e neo-malthusiana anche il mondo cattolico si prostra in adorazione, con l’arcivescovo di Berlino, Heiner Koch, che nel 2109 ha paragonato Greta Thunberg a Gesù Cristo, era implicita nelle premesse. È chiaro infatti, e i cattolici lo hanno sempre saputo, che o la Chiesa porta avanti il suo discorso sul Vangelo senza timidezze né esitazioni, diciamo pure il suo progetto di conversione, oppure sarà il mondo a “convertire” la Chiesa e a subordinarla a sé, fino a renderla una misera ancella di ciò che esso vuole: come ora si vede con Bergoglio che affianca al cento per cento la spietata e spregiudicatissima politica mondialista portata avanti, nei termini del Nuovo Ordine Mondiale, dalla grande finanza internazionale. E si noti che nel progetto disumano e anticristico del mondialismo si danno la mano e si abbracciano le due vecchie ideologie che hanno finto di combattersi nei decenni della Guerra Fredda: il liberalismo e il comunismo. L’uno porta avanti il principio della libertà individuale assoluta – diritto all’aborto volontario, all’omicidio assistito, alla libera droga e alle famiglie omosessuali riconosciute anche dalla Chiesa; l’altro sta realizzando il suo vecchio sogno di appiattire, omologare, azzerare le differenze, sopprimere il merito, incoraggiare il vivere della carità statale piuttosto che lavorando, e soprattutto far sparire tutto ciò che è tradizione favorendo un’auto-invasione di stranieri irriducibili e impermeabili alla nostra civiltà e ben decisi, con la forza del numero e dell’incessante incremento demografico, a imporre in Italia la loro cultura, la loro religione, il loro modello culturale, così lontano dal nostro e nel quale, per fare un esempio, la donna non è che un oggetto nelle mani dell’uomo, non ha una personalità giuridica autonoma, anzi non ha neppure il diritto di mostrare il viso quando cammina per la strada, tanto meno quello di far valere la sua capacità genitoriale in caso di rottura col marito. È la nemesi delle signore femministe alla Boldrini, alla Bonino e alla Cirinnà; ma anche la nemesi dei cattolici di sinistra che hanno deciso di regalare l’Italia, con tutta la sua tradizione millenaria e la sua religione cattolica, a dei nuovi cittadini che ignorano quella civiltà e non amano quella fede, anzi sono fermamente intenzionati a seppellirla. E se il popolo italiano ha perso la sua ultima, vera occasione nel secondo dopoguerra, figuriamoci cosa potrebbe fare adesso…

 

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