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In principio creavit Deus coelum et terram

francesco lamendola Jan 16, 2023

di Francesco Lamendola

La Creazione cristiana, la creazione ex nihilo, dal nulla, di un Dio che trae ogni cosa dal niente, e che non si limita affatto a rimodellare e a dare nuova forma a un mondo che, per quanto confuso, di fatto già esisteva, dà fastidio a non pochi.

In primo luogo dà fastidio agli storici, agli antropologi, agli studiosi delle religioni e delle filosofie antiche, i quali, non riuscendo a trovarvi alcunché di paragonabile presso le cosmogonie pagane, anzi non trovando assolutamente nulla cui appigliarsi per sostenere la derivazione di quella da queste, come vorrebbero per poter storicizzare totalmente il cristianesimo, sono costretti a fare i conti con l’assenza di materiali ai quali attingere e d’ipotesi verosimili da percorrere per sostenere che i cristiani, e forse anche gli ebrei prima di loro, avevano avuto cognizione di quelle cosmogonie e ne erano rimasti influenzati abbastanza per costruirvi sopra il loro racconto degli inizi, introducendovi qualche trattato peculiare e magari giocando anche sulla possibile confusione linguistica fra la parola bārā e berō, slittamento vocalico che avrebbe il solo scopo di attenuare l’espressione in principio (Dio creò il cielo e la terra) con quella, assai più relativa e limitata, quando (Dio fece il cielo e la terra), nel senso che li modellò, operando un’azione ordinatrice e organizzatrice sulla materia informe che però già esisteva..

La seconda categoria di persone per le quali la Creazione cristiana dal nulla rappresenta un fastidioso problema è data non dagli studiosi non cristiani, gelosi di questa originalità che denota un’estrema onnipotenza e un’estrema libertà divina, ma proprio da parte di certi cristiani, diciamo pure dei seguaci di antiche e recenti eresie, irritati dal fatto di dover fare i conti con un unicum che li costringerebbe a prendere nettamente posizione, una volta per tutte, o dentro o fuori della Chiesa, mentre la posizione che essi preferiscono è quella di stare mezzi dentro e mezzi fuori, alla Teilhard de Chardin, tanto per fare un esempio: con una creazione che non è mai definita, che evolve verso il Cristo cosmico e come giungerà al punto omega, deve pur essere nata dal punto alfa: inteso però anch’esso evoluzionisticamente e quasi impersonalmente, come insieme di forze cosmologiche, e dunque già, in un certo senso, come movimento, e non come inizio radicale e improvviso dall’oscurità del nulla.

E perché mai la Creazione cristiana dal nulla dovrebbe dare così fastidio e a così tante persone, e per un così lungo arco di tempo, praticamente dalle origini del cristianesimo fino ai nostri giorni? le ragioni sarebbero più d’una, ma a noi, qui, basterà indicare quella di gran lunga più importante. perché essa sottintende un’idea troppo forte di Dio e, di conseguenza, rende pressoché inevitabile un’idea relativamente modesta dell’uomo, e sia pure di un uomo fatto a immagine del suo Creatore: potrà sembrare una posizione balorda, puerile, immatura, perfino meschina, ma non riusciamo a  vedere altre possibili spiegazioni. Certo,gli antropologi si trincerano dietro argomentazioni ben più dotte e assai più “pesanti” e sostanziose dal punto di vista speculativo. In definitiva, se né Platone, né Aristotele, né alcuno dei più grandi filosofi greci era mai arrivato ad una simile idea, come avrebbero potuto arrivarci gli ebrei, e dopo di loro i cristiani, i quali cominciarono a filosofare, nel senso proprio del termine, solo dopo, e non prima, di essere venuti a contatto con la filosofia greco romana, e specialmente con gli ambienti speculativi alessandrini in età ellenistica e con le loro evolute filosofie?

Non solo: come è possibile che gli ebrei, durante le loro esperienze un po’ in tutti i Paesi del Levante, ora come mercanti e banchieri, ora come deportati politici dai sovrani dell’Egitto, dell’Assiria, della Babilonia, non si siano lasciati influenzare su questo punto: l’origine del mondo in rapporto alla divinità? Perché se così fosse, allora ci troveremmo davvero di fronte a una cosa pressoché inspiegabile, a uno di quei fatti storici che mettono in crisi chi sa ragionare con la propria testa, e non prendendo a prestito quella di Voltaire, di Feuerbach, di Marx o di Freud (e due su quattro, i più tenaci avversari, sono, guarda caso, degli ebrei): perché dimostrano che, nella storia, e anche nella storia delle idee e delle credenze religiose, non tutto può essere spiegato per via di analogia, d’imitazione o di diffusione, e che le teorie dell’irraggiamento geografico-culturale sono, senza dubbio, da trattare, caso per caso, con il massimo rispetto (come fece ad esempio Mircea Eliade considerando l’enigmatica presenza di elementi religiosi e mitologici tipicamente indiani (dell’India) in alcune lontanissime isole dell’oceano Pacifico; ma che non arrivano a spiegare tutto, sempre e infallibilmente.

Scrive la nostra autorità preferita in campo teologico, Bernhard Bartmann, nel primo volume del suo Lehrbuch der Dogmatik (Manuale di Teologia dogmatica, Edizioni Paoline, 1952, pp. 329-330):

«In principio creavit Deus coelum et trerram» (Gen 1,1). Le parole cielo e terra designano l’universo. La loro produzione è espressa in ebraico col verbo“bārā”, che i Settanta traducono con “eroisen”, creatività.  Se il verbo ha talvolta il senso di “fare”, “fabbricare con una materia preesistente”, il contesto, unitamente a tutto l’insegnamento biblico e all’interpretazione giudaica e cristiana, indica che si deve intendere nel senso più forte di creare ex nihilo”.
Secondo la Bibbia Dio appare non come il modellatore dell’universo, ma come suo Creatore. «In principio», quando ancora nulla esisteva (nel senso assoluto), Dio creò il cielo e la terra. È vero che si cerca di attenuare il senso di “bārā”, vocalizzandolo in “
berō”, e traducendo: “quando Dio fece il mondo, con l’intenzione di sottintendere, in questo versetto, una pretesa “creatio secunda” e di assimilarla alle cosmogonie pagane. Ma «volendo spiegare questa frase come una frase SUBORDINATA, si ha una costruzione impossibile che sopprime il movimento e la semplicità di questa potente espressione della Bibbia» (Böhl, “Bārā”, als Terminus der Weltschöpfung. Festg. F. Kittel 1913, p. 57). D’altra parte la Bibbia non sa nulla delle cosmogonie pagane; Dio è ovunque il Signore della materia  come delle sue svariatissime forme. Solo più tardi, dopo la produzione della materia, si può parlare di una “creatio secunda” a riguardo delle piante e degli animali, come pure dell’uomo. Ma per la luce (fiat lux) e per l’insufflazione dello spirito di vita (l’anima) nel corpo dell’uomo, si tratta nuovamente di una “creatio prima”. La Bibbia non fa però simili distinzioni: si limita ad affermare che tutte le cose, senza eccezione alcuna, derivano da Dio nel loro essere e nella loro vita, e che ad una sermplice creatutura è tanto impossibile la “creatio secunda” quanto la “creatio prima”. Del resto è facile riconoscere la “creatio secunda” dalle seguenti espressioni: “Germinet terra herbam», «producat terra animam viventem», ecc. La “creatio secunda” è una creazione impropriamente detta, mediata, che cade nel tempo.

Il dogma di Dio creatore è il dogma fondamentale di tutto l’Antico Testamento. I Profeti ed i Salmi ne parlano in termini eloquenti: «Chi ha misurato nel cavo della mano le acque ed ha pesato i cieli nella palma? Chi è che con tre dita sostiene la mole della terra , e pesa sulla bilancia i monti e le colline sulla stadera? Chi ha Dato aiuto allo Spirito del Signore?... Tutte le genti davanti a lui sono come se non fossero. Egli le tiene per nulla e per cose vane» (Is. 40,12-179. Il Salmo 103 è tutto un magnifico poema della creazione. (…)

La parola «ex nihilo» si trova per la prima volta sulla bocca della madre dei Maccabei che confessa la fede giudaica: «Peto, nate, ut aspicias ad coelum et terram et ad omnia quae in eis sunt, et intelligas quia ex nihilo (…) fecit illa Deus» (II Macc. 7,28). Questa fede universale nella creazione non è contraddetta da Sap. 9,18, dove si dice: «(Deus) creavit orbem terrarum EX MATERIA INVISA». non è affatto necessario vedere in questo passo una dipendenza della Diaspora dalla dottrina platonica, poiché lo si spiega benissimo riferendosi alla “creatio secunda” uscita dal caos del primo giorno (Gen. 1,2). così dicasi di Ebr. 11,3: «Aptata esse saecula verbo Dei ut ex INVISIBILIBUS visibilia fierent = L’universo è stato formato mediante La parola di Dio in guisa che da cose invisibili (…) sono state fatte le cose visibili », ove si deve certamente pensare alla potenza creatrice di dio dalla quale è stato prodotto il mondo visibile.

Gesù non aveva bisogno di annunciare il dogma della creazione al suo popolo; tuttavia qualche volta vi ha fatto allusione. Egli chiama Dio «il Signore del cielo e della terra» (Mt 11,25); ristabilisce il matrimonio come era “in principio” (Mt 19,4); afferma che «il Padre che è nei cieli f (Mt 5,45), ed ha cura di tutte le creature (Mt 6,26).

Gli postoli ricordano la creazione per motivi cristologici, per provare cioè che Cristo è Capo delle creature. Egli è «primogenitus omnis creaturae, quoniam in ipso condita sunt universa in coelis et in terra, visibilia et invisibilia» (Col 1,15 ss). (…)

Nella Bibbia il dogma della creazione determina due grandi serie di atteggiamenti religiosi: da una parte, la meraviglia, la riconoscenza, la lode; dall’altra, la speranza, la fiducia, l’abbandono in Dio.

Vuoi vedere che la vera ragione per cui, fuori e dentro la Chiesa cattolica, c’è tanto fastidio, tanta irritazione, tanto disagio anche solo a sentir parlare della Creazione ex nihilo perché essa costringe l’uomo a riconoscere la propria natura di creatura? Creatura specialissima, sì, la sola concepita da Dio a propria immagine, e la sola così ardentemente amata, da provocare l’Incarnazione del Verbo, che, insieme alla Santissima Trinità e, appunto, alla creazione dal nulla (idea che ripugnava profondamente ai raffinati e coltissimi filosofi pagani, così come ripugnava loro l’idea di un Dio in tre Persone e quella di un Dio che si fa uomo per morire come un uomo qualsiasi, per amore degli uomini), rappresenta la massima sfida alla loro maniera di concepire la divinità?

Se Dio avesse creato il mondo non proprio ex nihilo, ma dando forma a una materia preesistente e immortale, insomma se fosse più un Demiurgo che un Creatore, allora, alla fine dei conti, la distanza fra Lui e noi non sarebbe poi così abissale da abbassare troppo il nostro orgoglio. Si potrebbe anzi pensare, come in certe cosmogonie orientali (che piacciono tanto ai teosofi), che egli ha plasmato il mondo non una vola sola, ma parecchie volte, sino a perderne il conto: ogni volta ritoccando qualcosa, ogni volta insoddisfatto o scontento di qualcosa. Ora, insoddisfazione e scontentezza sono attribuiti umani; molto umani: se Dio vi fosse soggetto, già buona parte della sua maestosa statura si rimpicciolirebbe ai nostri occhi. In fondo, siamo sempre gli stessi: senza la grazia, gli effetti del Peccato originale continuano a pesare su di noi come il primo giorno: ci dà fastidio dover ammettere la nostra piccolezza, la nostra debolezza, la nostra imperfezione: vorremmo essere noi al posto di Dio; ci pare quasi un’ingiustizia dover dipendere da Lui; e tutti i doni, materiali e spirituali, naturali e soprannaturali che da Lui incessantemente ci arricchiscono, ci paiono poco più che un’elemosina, qualcosa che ci è dovuto ma che è ancora e sempre poco, troppo poco per la nostra smisurata ambizione.

Ecco perché. A. A.  Gratry diceva che la via al mistero della Trinità (ma è la stessa cosa per il mistero della Creazione e per quello dell’Incarnazione) è l’umiltà. Solo facendosi umile, l’intelligenza può chiedere a Dio non già di comprendere (nemmeno il genio incomparabile di san Tommaso d’Aquino giunse a una conclusione assolutamente certa sulla creazione ex nihilo), ma almeno di avvicinarsi a verità così sublimi, che eccedono in misura tanto ampia le nostre risorse e possibilità.

Ma c’è una ragione più concreta per spiegare l’insofferenza di tanti non cristiani e di tanti falsi cristiani di fronte al mistero della Creazione dal nulla. Se gli ebrei e i cristiani la concepirono da sé soli, senza subire l’influenza di altri popoli o, quanto meno, senza lasciarsene influenzare in maniera determinante, questo potrebbe essere uno di quei sassolini sui quali talvolta scivolano tutti quegli eleganti signori, facendo una figura non bella, loro che vorrebbero apparire sempre perfetti e inappuntabili, come è tipico di chi possiede la risposta pronta per qualsiasi genere di domande. E il sassolino, tradotto sotto forma di domanda, assumerebbe press’a poco questa intonazione: ma allora non è vero che le religioni, tutte le religioni, altro non sono che immaginazioni, speculazioni e fantasie delle varie civiltà umane nei confronti di Dio? Non potrebbe essere che una religione, ed una soltanto, è così vera, che storicamente si è manifestata non solo nelle domande dell’uomo a Dio, ma anche nella Parola che Dio stesso, liberamente  e spontaneamente, ha rivolto agli uomini per condurli verso di sé: una Parola piena di amore, che a un certo punto si è addirittura fatta Carne?

 

 

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