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Indi Gregory: dalle parole ai fatti.

corrispondenza romana fabio fuiano universitari per la vita Nov 16, 2023

da universitariperlavita.org

di Fabio Fuiano

Sabato 11 novembre scorso, i medici del Queen’s Medical Centre di Nottingham in Inghilterra, hanno avviato le procedure per il distacco dei macchinari di sostegno vitale per Indi Gregory, una bambina di 8 mesi affetta da una rara patologia mitocondriale. Indi è morta alle 1, 45 di lunedì 13 novembre.

A nulla sono valsi i numerosi tentativi italiani di trasferirla al Bambin Gesù di Roma perché potesse esserle risparmiata la vita. Si tratta dell’ennesimo efferato atto di ingiustizia ai danni di un’innocente: dopo Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup e Archie Battersbee, sembrerebbe che l’Inghilterra non sia mai sazia.

In virtù della scelta, operata dal Governo il 6 novembre scorso, di offrire la cittadinanza italiana ad Indi Gregory, i media hanno dato ampio spazio alle vicissitudini riguardanti la bambina e la sua famiglia. Ci si può rallegrare del fatto che, quasi all’unanimità, si sono riconosciuti due aspetti di questa storia: (a) che le decisioni dei medici e dei giudici inglesi sono in netto contrasto con una narrazione dell’eutanasia come “libera scelta” e (b) che i termini “inguaribile” e “incurabile” non sono sinonimi, per cui, anche di una persona inguaribile ci si può prendere cura. Di fatto, la maggior parte delle reazioni sdegnate degli italiani, sembrano ruotare attorno a questi due “perni”.

Eppure, la piccola Indi, ci dà occasione di riflettere anche su un altro punto, apparentemente banale ma in realtà fondamentale per identificare le radici della mentalità che l’ha condannata a morte. Molti media, nel riportare la notizia, hanno parlato di «macchine che tengono in vita la piccola Indi» (tondo nostro). Ad un primo sguardo, l’espressione può sembrare corretta, se si pensa che, senza questi macchinari, la bambina non potrebbe sopravvivere autonomamente. Diverso è il caso in cui tale frase sia interpretata come se le macchine fossero la causa necessaria della vita di Indi. Ma così non è: esse sono un mezzo che ha come fine quello di dare un sostegno (respiratorio, nutrizionale ecc.) ad una bambina menomata, ma non sono la causa della sua vita più di quanto, fatte salve le dovute differenze, il mezzo degli occhiali non sia la causa della vista in un uomo.

Per capirlo da un punto di vista logico, ci faremo aiutare dalle parole di mons. Pier Carlo Landucci (1900-1986), riprese dal suo scritto Il Dio in cui crediamo (Edizioni “Pro Sanctitate”, 1968, pp. 106-107). In questo studio, in cui mons. Landucci dimostra razionalmente l’esistenza di Dio e deduce i suoi attributi, vi sono anche delle interessanti e utili considerazioni sui principi generali su cui si fonda la logica. Per la nostra analisi, faremo uso del cosiddetto principio di causalità. Afferma mons. Landucci che «nessuna cosa reale può mancare d’una sua spiegazione, di una sua giustificazione, di una sua ragion d’essere: o dentro o fuori della cosa stessa. È l’insopprimibile legge della realtà». Continuava, affermando che «siccome la ragion d’essere deve ovviamente proporzionarsi all’essere di cui è ragione, tale legge si chiama anche giustamente di ragione sufficiente (ragione, cioè, proporzionata). Considerando d’altra parte le cose come effetti che richiamano la causa, tale legge si dice anche principio di causalità».

Insegna l’autore che «si possono distinguere quattro ragioni d’essere o cause, due costitutive della cosa in se stessa e due produttive di essa. Le prime – materiale formale – dicono di che e come la cosa è in sé fatta. Le seconde – efficiente e finale – dicono da chi o da che la cosa è stata prodotta e perché è stata prodotta, ossia il fine di tale produzione».

Ora, chi sostiene che le macchine fossero state la causa della vita di Indi lo fa per un equivoco sul principio di causalità: se fosse come dicono, ciò vorrebbe dire che Indi non potrebbe morire fintanto che le macchine (presunta causa della sua vita) continuano ad agire. È però evidente che così non è, in quanto vi sarebbe potuto essere un qualunque momento, non necessariamente immediato, nel quale Indi sarebbe potuta morire indipendentemente dal fatto che le macchine fossero o meno attive. Questo è dovuto al fatto che la vera causa efficiente della respirazione non sta nel ventilatore polmonare, ma nella capacità del corpo di Indi di prendere quell’ossigeno e veicolarlo ai tessuti affinché non vadano in necrosi; similmente, la causa efficiente della digestione non sta nel sondino naso-gastrico (o nella gastrostomia endoscopica percutanea – PEG), ma in un apparato digerente in grado di assimilare il nutrimento e dare sostegno al corpo. Senza tali capacità, si sarebbe potuto applicare ad Indi qualsiasi tipo di strumento, senza trarne alcun effetto circa la preservazione della sua vita. Risulta dunque chiaro che la causa della vita di Indi va ricercata in un altro principio, che però non è estrinseco e materiale, ma intrinseco ed immateriale, ed è la sua anima. La continua necessità del mondo moderno di far dipendere il principio vitale dell’uomo da qualcosa di esterno a lui e materiale, è legata ad una visione materialista che rifiuta qualsiasi principio immateriale, dall’anima umana fino ad arrivare a Dio stesso, causa ultima di tutto ciò che esiste.

Ma per quanto negati e seppur immateriali, non sono meno veri. San Tommaso d’Aquino, citando Aristotele (De Anima 2, cap. 4, 415 b9-24), afferma che «l’anima è nel corpo non solo come causa formale e finale, ma anche come causa efficiente: fra l’anima e il corpo ci sono infatti, gli stessi rapporti esistenti tra l’arte e l’opera d’arte. Ora, tutto ciò che si manifesta esplicitamente nell’opera è già contenuto in germe e in causa nell’arte stessa; e similmente tutto ciò che si manifesta nelle singole parti del corpo è contenuto originariamente e in certo qual modo implicitamente nell’anima. Come dunque l’opera d’arte non sarebbe perfetta se in essa mancasse qualcosa di ciò che l’arte contiene, così l’uomo non potrebbe essere perfetto se tutto ciò che è implicitamente nell’anima non si estrinsecasse nel corpo; e il corpo non sarebbe nemmeno perfettamente proporzionato all’anima».

L’anima di Indi è pertanto la vera ragion d’essere proporzionata della sua vita corporea e gli strumenti utilizzati dai medici sono dei semplici mezzi, importanti, ma che non possono sostituire l’anima. Senza questa non vi sarebbe un corpo animato, ma un cadavere e nessuna macchina potrebbe dargli la vita. Se i medici e i giudici inglesi non fossero così impregnati di materialismo ateo, sarebbero stati in grado di riconoscere in Indi (e in qualsiasi bambino affidato alle loro cure) un’anima immortale, a immagine di Dio, riconoscendo, di conseguenza, l’intrinseca inviolabilità della vita umana innocente. Questo sia da ulteriore monito a chi non comprende che i principi filosofici generali, seppur astratti, sono la base dell’agire pratico: agisce bene chi si ispira a principi integralmente buoni e veri; agisce male chi si ispira a principi malvagi e falsi. I principi sono veicolati dalle idee e queste dalle parole: motivo per cui bisogna stare attenti non solo ai concetti che si esprimono ma a come si esprimono. Se, anche qui in Italia, seguiteremo ad esprimerci come gli inglesi, non tarderà il momento in cui si tali inique pratiche, già parzialmente e surrettiziamente introdotte, diverranno la normalità.

Fonte: Corrispondenza Romana

 

 

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