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La donna cristiana, fulgido esempio di virtù e amore

francesco lamendola Nov 24, 2022

di Francesco Lamendola

L’avvento del cristianesimo ha portato ad un miglioramento o ad un peggioramento delle condizioni sociali della donna?

I sostenitori della seconda tesi citano sempre quel famoso passo di san Paolo, invero estrapolato dal contesto (Ef 5, 22-24):

22 Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. 24 Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa.

Tuttavia, queste raccomandazione (temperata dall’altra, rivolta ai mariti, di amare teneramente le loro mogli, come Cristo ha amato la sua Chiesa fino a dare la vita per lei) non significa nulla, di per sé, se non viene confrontata con la condizione della donna nella società pagana. Dal confronto risulterà anzi che la donna cristiana ha guadagnato molte posizioni rispetto alla donna greca e romana, perché non è più solamente la domina, la padrona indiscussa di casa, ma è anche e prima di tutto la preziosa compagna di vita, dotata di una dignità intrinseca in quanto persona, prima ancora di appartenere al genere femminile: perché è merito imperituro del cristianesimo aver scoperto il concetto di persona, che si applica a ciascun essere umano anteriormente a ogni altra specificazione, per il solo fatto di esistere e di essere uomo.

Inoltre il cristianesimo ha indicato una via onorevolissima alla donna che non sceglie la via del matrimonio: quella della verginità religiosa. Nella società romana, a parte il caso delle Vergini Vestali che era l’eccezione alla regola, perché riguardava pochissime donne provenienti esclusivamente dalle famiglie patrizie, e perché la loro condizione era reversibile (passati i 30 anni di “servizio”, erano libere di sposarsi, poiché venivano scelte ancora bambine e quindi non erano troppo vecchie per tornare a vivere nel “mondo”), la donna doveva sposarsi; se ciò non accadeva, si accompagnava ad un severo giudizio di ordine morale, soprattutto perché si era sottratta alla funzione riproduttiva, considerata fondamentale. Non era previsto per lei altro destino che quello di sposa e di madre.

Non parliamo poi della condizione della donna nella società ebraica, la quale era molto più subalterna e marginale che nella società greca, per non dire di quella romana. In Giudea sarebbe stata inconcepibile la diffusione di un culto come quello della Vergine Santissima, non solo per motivi religiosi (la Madre di Dio!), ma proprio per il fatto che un membro del sesso femminile era considerato strutturalmente inferiore all’uomo. Il fatto che Gesù ammettesse, nel suo seguito, anche delle donne, fra le quali sua mamma; e il fatto che nel suo insegnamento e in numerosi episodi della sua vita (le sorelle di Lazzaro; la peccatrice pentita; la samaritana) mostrasse simpatia, familiarità e stima nei loro confronti, era stato, agli occhi degli ebrei devoti, un fattore di debolezza e di sospetto, non certo di forza. E che i Vangeli tramandino come le prime testimoni della Risurrezione siano state delle donne, la cui testimonianza era priva di valore legale, corrobora indirettamente l’attendibilità di essi, perché, se il racconto evangelico fosse stato costruito ad arte sul “mito” della Risurrezione, di certo i suoi autori non avrebbero commesso un simile passo falso, un’ingenuità tanto clamorosa.

Il cristianesimo invece valorizza al massimo la scelta della verginità e della castità, indicando alle donne che la compiono la via del chiostro e proclamando apertamente, come del resto anche nel caso dell’uomo, che la via dell’ordine sacro è perfino più nobile di quella, pur bella e santa, della vita coniugale, così come la vita contemplativa è considerata superiore alla vita attiva. È ancora san Paolo che parla (1 Cor 7, 25-28):

25 Quanto alle vergini, non ho comandamento dal Signore; ma do il mio parere, come uno che ha ricevuto dal Signore la grazia di essere fedele.

26 Io penso dunque che, a motivo della pesante situazione, sia bene per loro restare come sono; poiché per l'uomo è bene di starsene così. 27 Sei legato a una moglie? Non cercare di sciogliertene. Non sei legato a una moglie? Non cercare moglie. 28 Se però prendi moglie, non pecchi; e se una vergine si sposa, non pecca; ma tali persone avranno tribolazione nella carne e io vorrei risparmiarvela.

Questi consigli sono espressi nella prospettiva di una prossima manifestazione del Regno di Dio, e quindi esprimono una certa sfiducia nella condizione terrena, vista come fortemente condizionata dalle conseguenze del Peccato originale. Vi è probabilmente anche una reminiscenza di ciò che aveva detto Gesù a proposito della donna che aveva sposato, uno dopo l’altro, sette fratelli, restando vedova ogni volta (Lc 20, 34-37):

34 Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35 ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; 36 e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Analoga è la concezione di Sant’Agostino, massima autorità canonica e teologica per tutto il medioevo e fino al sorgere della Scolastica matura,  con la riscoperta delle opere aristoteliche sino ad allora sconosciute. Anche per lui la donna cristiana svolge una funzione insostituibile nella società e nella Chiesa (che, nella sua prospettiva, sono un tutt’uno). Poiché la famiglia, insieme alla proprietà e al lavoro, è la base stessa della società, ed è anche la società originaria in se stessa, la più semplice ed elementare, la donna, che svolge un ruolo decisivo nel sostenere la famiglia, è di conseguenza un cardine indispensabile dell’ordinamento sociale, tanto nei suoi aspetti pratici, di frugalità e laboriosità, che in quelli di ordine morale e spirituale: temperanza, prudenza, fortezza e giustizia, e non solo è di sostegno all’uomo, ma ne è anche la saggia consigliera e l’instancabile cooperatrice.

Scriveva a proposito della concezione agostiniana della donna il padre gesuita Angelo Brucculeri (1879-1969) nel suo importante studio Il pensiero sociale di S. Agostino (Roma, La Civiltà Cattolica, 1945, pp. 227-231 passim):

Della sposa cristiana così parla S. Agostino, mentre al tempo stesso rinfaccia allo sposo la vita licenziosa: «Tu con vane scuse segui la passione. Ma la tua consorte non seguirà il tuo esempio… Non con l’imitazione dei tuoi travisamenti reagirà ella, ma col dolore dei tuoi falli. Ella è casta e santa donna e realmente cristiana, che si strugge di fronte alle tue colpe, perché animata da zelo, non già da gelosia. Ella riprova la tua condotta, non per sé, cui riesce nefasto un tal costume. Se dovesse ella esser fedele, nella sola ipotesi che anche tu lo fossi, scivolerebbe per la mancata condizione nel vizio. Ma poiché ella ha impegnata la sua parola e a Dio e a Cristo, si manterrà casta, nonostante il tradimento del consorte. Cristo infatti nell’intimo del cuore di lei fa sentire la sua voce corroborante: Soffri pure, ma non imitare il tuo sposo; che egli piuttosto sia attratto dal tuo esempio» (Sermo IX,11).

Quando l’Oratore d’Ippona esaltava a questo modo la morale grandezza della sposa cristiana, s’spirava, senza dubbio,  ai molti esempi di piissime donne di sua conoscenza; soprattutto doveva ricordarsi di Monica, sua madre, della quale nelle “Confessioni” fa questo ritratto: «Formata alla scuola del pudore e della sobrietà e da Te fatta docile ai genitori, più che da essi resa docile a Te, appena raggiunta l’età conveniente, andò a nozze. E servì come suo signore il marito, e si studiò di guadagnarlo a Te coll’eloquenza di quei costumi, con cui Tu la facevi bella agli occhi di lui e degna di riverente amore e di ammirazione. Le infedeltà dello sposo tollerò in guisa da non AVER perciò da litigare con lui. Attendeva che la tua misericordia sopravvenisse e con la fede ne formasse un casto. Tale era quella donna solerte discepola delle tue intime lezioni. Infine ella riuscì a guadagnare a Te lo sposo, negli ultimi suoi giorni, e in lui già cristiano, non ebbe più a deplorare ciò che aveva deplorato prima ch’egli avesse il battesimo… Ed era anche la serva dei suoi servi.  Chiunque la conosceva era pronto a lodarti,.. perchè sentiva la tua presenza nel cuore di lei, come attestavamo le sue conversazioni» (Confess. IX,19-21).

Ma la più eloquente espressione della virile fortezza si ha dinnanzi alla morte. Subirla ed affrontarla senza titubanze, mettendo il proprio sangue al servizio della propria coscienza e delle proprie convinzioni, è, certamente, il gesto supremo dell’eroismo. (…)

Nei discorsi, ch’egli fece in onore delle grandi Martiri africane, Perpetua e Felicita, il S. Vescovo coll’animo vibrante di ammirazione inneggia alle famose eroine, di cui la prima trionfa non meno delle torture del tiranno che delle lagrime del vecchio padre e dei vagiti del suo neonato. Mai una vittoria più splendida dell’idea sulla forza bruta, dello spirito sulla materia. (…)

Un altro tipo di donna non meno degno di ammirazione è la vergine cristiana. Nessun dubbio che lo stato verginale promosso dal Cristianesimo è una prova della riabilitazione e della trasformazione  sociale delle condizioni della donna. Prima si concepiva la donna così legata al matrimonio, così, legata alla procreazione, che senza di ciò il suo valore era pressoché nullo. L’accidentalità del sesso faceva dimenticare la personalità della natura. Il Cristianesimo si oppose, e si opporrà sempre, a questa angusta mentalità, che sminuisce e deforma il pieno concetto di donna. S. Agostino che pure celebrava la santità del connubio, riconosceva – interprete fedele degli insegnamenti evangelici – nella verginità volontaria un più perfetto stato di vita. Patrocinava così una gerarchia fra i valori morali, contrapponendosi a dottrine stoiche allora serpeggianti, per le quali si negava la disuguaglianza come nel bene così anche nel male.

L’Evangelo aveva già tracciato una duplice strada alla condotta umana: l’una del PRECETTO, che forma (si direbbe oggi) il programma minimo per salvarsi, e l’altra del CONSIGLIO, per quelle anime elette, che volessero spingersi ben oltre nella rinuncia e nel sacrifizio. Si ebbe così fin dai primi secoli del Cristianesimo quel fiorire, particolarmente nel sesso femminile, della verginità volontaria e perpetua  a cui tanto applaudono gli scrittori cristiani dei primi cinque secoli.

Il fatto che i due sbocchi sociali della vita della donna cristiana, il matrimonio e l’ordine sacro, si siano inariditi, e che il secondo sia sul punto di prosciugarsi per mancanza di vocazioni (l’età media delle suore è oltre settanta anni, il che attesta che il crollo è incominciato più di mezzo secolo fa, nel clima del post-concilio), attesta fino a che punto la società odierna si possa considerare come radicalmente post-cristiana. All’esaurirsi delle vocazioni religiose femminili (e anche maschili, se è per questo) fa riscontro l’affermarsi di una figura sociale nuova, la donna single, che non si sposa ma non rinuncia affatto alla vita affettiva e sessuale, e neppure alla maternità, ossia che preferisce avere un figlio, ma non un marito, e non ha alcun complesso d’inferiorità, semmai il contrario, verso le amiche sposate. La stessa cosa accade sul versante del matrimonio: le nozze si riducono a vista d’occhio, sostituite dalla convivenza più o meno durevole. Inoltre negli ultimissimi anni ha preso piede l’ideologia omosessualista, per cui la convivenza e lo stesso matrimonio con una persona dello stesso sesso sono viste da alcuni come perfettamente simmetriche alla famiglia tradizionale. È nata così un’inedita idea di famiglia, secondo la quale qualsiasi forma di unione,  stabile o no, eterosessuale o no, è comunque una famiglia. Una novità assoluta, sconosciuta a tutte le società umane nel corso di cinquemila anni di storia.

Il fattore culturale che ha dato il colpo decisivo alla tipologia della donna cristiana e ai suoi valori è stato senza dubbio il sorgere della cultura femminista, accompagnata da un drastico mutamento nel campo delle abitudini di vita, dell’abbigliamento, dello spettacolo, del ballo e della musica leggera. La donna contemporanea si è identificata con le dive del cinema e della televisione, si è abituata ad esibire generosamente il suo corpo (salvo poi lamentarsi perché l’uomo tende a vederla solo come un oggetto sessuale) e, mercificandolo, crede di essersi fatta strada sulla via della emancipazione. Ma è proprio vero che la donna moderna, post-cristiana e anticristiana, che non vuol neanche battezzare i suoi figli, si è felicemente liberata e realizzata? O che, in  ogni caso, si è liberata e realizzata assai più di quanto non si fosse liberata e realizzata la donna cristiana rispetto alla donna antica: ebrea, greca o romana?

Così, giudicando di primo acchito: è proprio verro che la donna odierna, che si è (o che è stata)  proiettata con furia nel nuovo paradigma socio-culturale, è più felice, più serena, più pacificata di quanto lo fossero sua madre o sua nonna?

 

 

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