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La morale può ribaltarsi nell’arco di due generazioni?

francesco lamendola Oct 17, 2022

di Francesco Lamendola

La morale universalmente condivisa, e non parliamo solo della morale cattolica, ma anche della morale naturale (e perciò “laica”), può subire un completo capovolgimento – non un certo qual cambiamento, ma proprio un totale capovolgimento – nell’arco di appena due generazioni, cioè per forza propria e per un movimento del tutto spontaneo, senza che qualcosa o qualcuno ci abbia messo lo zampino?

Per sgombrare il discorso da ogni astrattismo, portiamolo sul terreno pratico, assumendo un caso specifico e a suo modo paradigmatico (ma avremmo potuto scegliere fra molti altri): quello della pratica omosessuale. Della pratica, non della tendenza: perché la tendenza, se è un fatto congenito e non una libera scelta, non è mai stata considerata un peccato dall’etica cristiana e cattolica, né un vizio e meno ancora una colpa dalla morale naturale, ma semplicemente un’anomalia, cui bisogna porre rimedio.

Sentiamo cosa ne pensava il padre gesuita Edwin F. Healy, professore di Teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana, nel suo volume di cinquecento pagine, subito tenuto in conto di un classico, e tale considerato anche poi, per non pochi anni, Medicina e morale (titolo originale: Medical Ethics, Loyola University Press, 1956; traduzione  di Roberto Bortolotti, Roma, Edizioni Paoline, 1963, pp. 363; 365-367):

Fra i pazienti anormali che lo psichiatra verrà chiamato a curare, l’omosessuale presenta un problema particolarmente difficile. L’omosessuale è una persona che non soltanto è sessualmente attratta verso quelli dello stesso sesso; egli è sessualmente apatico a persone del sesso opposto ed in alcuni casi potrebbe perfino provare un senso di ripugnanza per loro. L’omosessuale non deve essere confuso con colui che è emozionalmente attratto tanto da persone del suo stesso sesso che da quelle del sesso opposto. Tale persona non è un vero e proprio invertito: egli è conosciuto come bisessuale. La maggior parte di coloro che durante la loro adolescenza sembrano omosessuali sono tali soltanto in apparenza, poiché in seguito divengono sessualmente normali. L’individuo omosessuale di regola sarà dato in cura a uno psichiatra, ma il medico generico deve essere a conoscenza della natura e delle cause di siffatta anormalità, e dovrebbe sapere come consigliare il paziente in modo da potergli essere utile.

Tutte le pratiche omosessuali in cui si indulga liberamente sono, come è ovvio, gravemente peccaminose, poiché costituiscono una grave perversione di natura. La natura ha dato all’uomo gli organi sessuali onde egli possa usarli per l’ordinata propagazione del genere umano. L’omosessuale, invece, se ne serve direttamente contro il loro fine naturale. Prima di tentare una cura della sua abitudine, il paziente deve innanzi tutto essere convinto che questa pratica è per natura illecita e che in nessuna circostanza è mai giustificabile. Cosa dire se egli afferma, come fanno molti, che la natura è stata ingiusta verso di lui? A parte il fatto che la sua tendenza può essere acquisita e non congenita, gli si può far rilevare che l’autore della natura è Dio e che Dio, infinitamente giusto qual è, non può essere incolpato di parzialità o di ingiustizia. Lì’omosessuale deve francamente riconoscere la sua tendenza come anormale, e sforzarsi di orientare la sua vita in conseguenza. Gli si può dire che molto probabilmente egli non è più sensuale, né più fortemente attratto verso le immoralità sessuali di una persona normale. Con l’aiuto di Dio egli come chiunque altro, può controllare la sua condotta ed evitare la colpa.

Quale consiglio deve dare il medico all’omosessuale congenito? Prima di tutto egli potrebbe spingerlo a coltivare un genuino senso di umorismo, poiché la ilarità gli impedirà di soggiacere all’abbattimento ed allevierà le difficoltà che attraversa. Sarebbe bene anche che il paziente si sforzasse di sublimare i suoi affetti. Dal momento che egli è escluso dalla normale vita matrimoniale, non può avere le gioie e le soddisfazioni che gli sposati trovano in seno alla famiglia. Comunque, egli può dedicarsi con fervore alla cura dei poveri e dei malati.  In quest’opera troverà non solo soddisfazione e profonda felicità, ma distrarrà anche la mente dalle sue difficoltà personali. Inoltre dovrebbe evitare di meditare sulla sua anormalità. Dovrebbe cercare di coltivare la stima di se stesso e un sano senso della sua dignità come figlio di Dio. Dovrebbe tentare di sfuggire le circostanze che egli sa per esperienza essere sessualmente eccitanti per lui, e dovrebbe accompagnarsi con individui spiritualmente sani. Se è cattolico dovrebbe essere incoraggiato a frequentare il più spesso possibile i sacramenti della penitenza e dell’Eucarestia, cosicché da essi possa derivare un aiuto soprannaturale molto efficace. Per frenare i suoi istinti licenziosi, sarà bene che pratichi l’astinenza. Coltivando l’abitudine di rinunciare a volte, per un motivo spirituale, a certi legittimi piaceri, egli fortificherà la sua volontà e controbilancerà la mollezza di carattere che tende a rendere più sensibile alle tentazioni contro la virtù della castità.

Può l’omosessuale contrarre matrimonio? Se la sua anormalità lo rende del tutto incapace a compiere l’atto sessuale con una persona di sesso diverso, egli è naturalmente escluso dal matrimonio a causa della sua impotenza psichica. Sebbene la maggior parte degli invertiti provino un vero disgusto per il matrimonio, alcuni desiderano contrarlo. Può il matrimonio essere considerato come una probabile cura per l’omosessualità? Succede a volte che un uomo omosessuale si sposi con buon esito, ma di solito il matrimonio non ha successo. La donna omosessuale può trovare più facile adattarsi alla vita coniugale. Il medico deve indirizzare il caso di ogni paziente secondo le circostanze. Se è soltanto probabile che il paziente, che deve sposarsi, sia affetto da impotenza psichica, non gli è proibito di sposarsi, ma egli è obbligato a informare la sua fidanzata di questo eventuale difetto.

Come si vede, le questioni sul tappeto sono due: una di ordine strettamente medico, e più precisamente psichiatrico, e una di ordine morale (non solo della morale cattolica, ma anche della morale naturale), e più specificamente di morale sessuale. Lasciamo stare la prima questione, che richiederebbe un discorso a parte, di natura essenzialmente tecnica e che presuppone specifiche conoscenze di psichiatria; e limitiamoci alla seconda.

Detta in maniera molto semplice, e per venire subito al punto: i casi sono due. O chi ha scritto questa pagina era un pazzo, uno scriteriato, non un illustre professore di teologia morale, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, ma un dilettante allo sbaraglio, che faceva affermazioni inconsistenti e risibili, in omaggio a concezioni vecchie e superate; e in questo caso il pazzo, l’avventuriero, il demagogo irresponsabile è il gesuita James Martin, il prete che più di ogni altro si è adoperato per “sdoganare” l’omosessualità e presentarla non più come un peccato che grida vendetta davanti a Dio, come recitava il catechismo di san Pio X, nonché un comportamento che va oggettivamente contro la natura umana, e se oggi tanti sacerdoti, in cento e cento parrocchie del mondo, si presentano alle sacre funzioni indossando i paramenti di rito più uno di loro personale gusto e innovazione, la sciarpa coi colori dell’arcobaleno, a sostegno della “causa” LGBTQIA, è soprattutto merito suo. Oppure padre Edwin F. Healy parlava e scriveva bene, in accordo con duemila anni di magistero e di Tradizione, oltre che con la Scrittura (vedi l’episodio di Sodoma e Gomorra, ma anche altri), e perciò secondo le linee della morale cattolica di sempre, che era condivisa, su questo tema, da gran parte degli esponenti della cultura laica in nome di una sostanziale convergenza con la morale naturale: e allora è padre James Martin che sta sbagliando tutto, senza alcuna giustificazione possibile, perché sta ingannando scientemente le pecorelle del gregge cattolico, anche se (o forse proprio perché) egli si è conquistato idealmente un posto di tutto riguardo nella corte di Bergoglio, il quale lo tiene in grandissima considerazione, lo loda in pubblico e gli affida importantissimi incarichi a livello pastorale.

Eppure i due sono gesuiti entrambi ed entrambi di origine nordamericana: l’uno, Healy, nato nel Michigan nel 1897 e morto nel 1957, cinque anni innanzi l’apertura del Concilio Vaticano II, prima d’insegnare alla Gregoriana di Roma, aveva avuto la vocazione religiosa e si era fatto prete negli Stati Uniti; l’altro, Martin, è nato in Pennsylvania  nel 1960 e oggi, carico di onori e di gloria, e molto apprezzato negli ambienti gay friendly, ha appena sessantun anni e guarda al futuro con fiducia e spregiudicatezza, convinto che il tempo gli darà ragione e che il “ponte” da lui gettato verso l’universo omosessuale, per usare l’immagine evocata dal titolo del suo libro più famoso, segnerà stabilmente il nuovo corso della Chiesa, e pertanto della morale cattolica, in questa particolare materia. È molto popolare negli ambienti televisivi, dove si presenta con estrema spigliatezza e conduce la sua battaglia non lesinando al pubblico smorfie, boccacce e una gestualità decisamente irrituale, almeno per un sacerdote (ma anche questo, evidentemente, è un ambito che egli vuole rinnovare a fondo, dandone per primo l’esempio). Fra i due gesuiti americani, pertanto, la cui unica differenza rilevante sul piano socio-culturale è che il primo viene dall’America profonda e il secondo dal New England, tradizionalmente assai più aperto alle novità, anche e soprattutto in ambito di morale sessuale, vi è dunque una distanza temporale di sessantatre anni: meno di tre generazioni, diciamo anzi non più di due generazioni, visto che l’età media degli novelli sposi si è allungata di parecchio.

La domanda che ci poniamo è la seguente: si spiega, si giustifica, in termini di normale evoluzione, vale a dire di evoluzione spontanea, un simile capovolgimento di prospettiva, nell’arco di due sole generazioni? E se pure lo fosse, è nomale che la Chiesa e le convinzioni dei fedeli si adeguino a un tale capovolgimento, limitandosi a prendere atto che qualcosa è cambiato nella percezione del peccato, e gettando via non solo il magistero e la Tradizione, ma le stesse Scritture? Non si dimentichi infatti, che la Bibbia, a cominciare dal Nuovo Testamento, non  è per niente reticente su questo punto, anzi si mostra alquanto esplicita, ad esempio in quel passaggio (6, 9-11) della Prima Lettera ai Corinzi, nel quale san Paolo non esita ad affermare con la massima chiarezza e decisione:

9 O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, 10 né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.

11 E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!

E si noti che l’Apostolo delle genti spinge il suo monito fino a specificare che in nessun caso l’omosessualità può essere considerata con qualche indulgenza: né quando si tratta di una pratica attiva (la sodomia), né quando si tratta di una pratica passiva (che lui chiama effeminatezza, cioè il comportarsi, da parte di un uomo, come se fosse una donna, nel consumare il rapporto carnale (e che è improprio chiamare rapporto sessuale, perché non si dà sessualità se non dove vi sono un maschio e una femmina).

E tuttavia, obietterà qualcuno, Gesù non ha mai condannato esplicitamente gli atti omosessuali. Rispondiamo che ciò è falso. In Matteo, 11, 20-24 si legge:

20 Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: 21 «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. 22 Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. 23 E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo?

Fino agli inferi precipiterai!

Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! 24 Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!».

Dunque, Gesù PARLA di Sodoma e del peccato dei suoi abitanti; né dice che non si tratta di un peccato e che i sodomiti non riceveranno un castigo eterno. Lo afferma, al contrario; e aggiunge, perché in quel momento sta portando avanti un altro concetto, che nel giorno del Giudizio la condanna e la pena dei sodomiti saranno meno dure di quelle che saranno pronunciate ed eseguite contro le città, come Corazin, Betsaida e Cafarnao, le quali si sono mostrate incredule davanti a Lui e alle Sue opere terrene. Menziona Sodoma accanto a Tiro e Sidone, queste ultime città pagane, per far capire che gl’increduli, rimasti tali anche dopo aver visto i miracoli da Lui compiuti meriteranno il massimo della severità divina: più dei pagani e più dei sodomiti (intesi qui come categoria generica e non solo come gli abitanti della città di Sodoma) il che è come dire più di chiunque altro. Ma dal contesto si evince che, subito dopo l’incredulità, i peccati più gravi sono e restano l’idolatria e l’inversione sessuale: quella che aveva fatto esclamare a Dio (Genesi, 18, 20-21):

Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!

E si ricordi che Gesù stesso ha affermato solennemente (Matteo, 5, 17-20):

17 Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18 In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Si rifletta che la morale cattolica non è un’invenzione della Chiesa; la Chiesa non fa altro, in questo ambito come in tutti gli altri, che tradurre in un insegnamento complessivo ciò che viene dalla Scrittura e dalla Tradizione. Perciò, se qualcuno si alza una mattina e vuol cambiare la morale cattolica, nonché l’insegnamento della Chiesa, deve prima mostrare che la Scrittura e la Tradizione mentono; oppure che per duemila anni il Magistero non le ha sapute comprendere, e ha insegnato cose sbagliate perché prive di fondamento.

Dunque i casi sono due: o James Martin e prima di lui (insensibilmente ma con sicura progressione) Teilhard, Rahner, Schillebeeckx, Küng, De Lubac, Congar, e poi Kasper, Forte, Bianchi, Paglia, Mancuso, ecc. sono andati fuori dal seminato, oppure hanno scoperto che ad essere fuori era la “vecchia” teologia, a cominciare dal tomismo; e i suoi ultimi esponenti – Garrigou-Lagrange, Gilson, Fabro e Livi – non sono che pezzi da museo, testimonianze archeologiche. Oppure avevano e hanno ragione questi ultimi, la Chiesa non si è sbagliata, né ha frainteso la dottrina del Maestro. E se l’allora vescovo Vincenzo Paglia faceva affrescare le pareti del duomo di Terni con un grande dipinto che è un inno all’omoerotismo, per di più blasfemo, perché prende a pretesto Gesù pescatore di anime; e se centinaia di preti arcobaleno insegnano dal pulpito che non c’è peccato, perché Dio ama gli uomini così come sono e non pretende da essi un cambiamento di vita, allora bisogna farsi due domande. La prima: l’insegnamento che gli uomini vanno bene così come sono, e che i loro istinti sono tutti buoni o comunque perfettamente leciti, viene da Dio o da qualcun altro? La seconda: la pretesa d’essere peccatori impenitenti, anzi persino fieri della propria vita disordinata e al tempo stesso dei cattolici perfettamente a posto davanti a Dio, da dove viene? È conforme all’insegnamento del Vangelo o è il suo esatto contrario?

Si noti che qui non è questione della dignità e del rispetto dovuto alle persone: si legga e si rilegga la pagina di padre Healy: non vi si troverà la più piccola sfumatura di disprezzo; al contrario, si troveranno espressioni e concetti pieni di delicatezza e umana simpatia. Ciò che si condanna non è mai la persona del peccatore, che può sempre convertirsi e mutar vita, ma il peccato. Però il punto è questo: se il peccatore non intende mutar vita? Se l’adultera se ne va ben decisa a seguitare nelle sue abitudini? E se la Chiesa, che si dice ispirata da Cristo, l’autorizza ad assumere tale contegno e non le dice, come fece Cristo: Va’, e non peccare più; ma: Va’, e fai come ti pare e piace? Se  giungesse a fare questo discorso, o un suo equivalente ipocrita, sarebbe ancora la vera Sposa di Gesù Cristo?

 

 

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