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Le quattro fonti velenose del pensiero cattolico del ‘900

francesco lamendola Nov 05, 2022

di Francesco Lamendola

I filosofi e i teologi del 1900 hanno risentito tutti – parliamo dei più noti alla cultura dominante, laicista e intimamente anticristiana – tutti, chi più e chi meno, di tendenze eterodosse ed influssi ereticali, che li hanno portati fuori strada, ma il cui sbandamento è stato salutato, sia fuori sia dentro la Chiesa stessa – quanto meno a partire dal Concilio Vaticano II – con unanime soddisfazione ed aperte lodi di quanti sostengono che il pensiero cattolico, come del resto tutta la cultura cattolica, è gravemente in ritardo rispetto alle acquisizioni più avanzate del mondo moderno. Un ritardo che il cardinale Carlo Maria Martini ha quantificato in un paio di secoli: ed è stato “generoso”, perché il bergogliano Lutero aveva ragione del 2017 suona come un’accusa di ritardo di cinquecento anni, e non di duecento solamente.

Il fatto che i maggiori pensatori cattolici abbiano deviato tutti dalla vera dottrina e dalla vera teologia indica chiaramente che non si è trattato di scivoloni individuali e più o meno imprevisti e imprevedibili, quanto piuttosto di una comune intossicazione, suggerisce, come al medico che si vede arrivare in pronto soccorso, in un breve arco temporale, numerosi ricoverati d’urgenza con gli stessi sintomi d’intossicazione alimentare, benché provenienti da zone diverse, che si debba fare un’ipotesi complessiva che renda ragione dello strano fenomeno: vale a dire che vi sia stata una fonte comune, un luogo comune a tutti, ove si sono presentate le condizioni affinché ciascuno contraesse il medesimo male. Nel caso dei filosofi e dei teologi cattolici novecenteschi non una sola fonte comune, ma più di una, sia pure nel quadro di una prospettiva comune, comuni essendo le tendenze di fondo del pensiero moderno.

Semplificando un po’, ma non troppo, crediamo si possano identificare abbastanza facilmente le principali fonti d’inquinamento intellettuale: sono quattro, cinque al massimo, tutte le altre essendo fonti derivate le quali hanno subito la stessa contaminazione, partita da quelle, e che poi, alla loro volta, hanno diffuso l’errore in altri rivi secondari, fino ad avvelenare tutta o quasi tutta la cultura cattolica contemporanea, per effetto delle stesse dinamiche, delle stesse suggestioni e dello stesso, immancabile complesso d’inferiorità dei cattolici nei confronti della modernità, la quale, se pure criticata a parole, resta nondimeno, per gran parte di essi, una sorta di “fratello maggiore” al quale guardano con gelosia, ammirazione mal dissimulata, desiderio di emulazione, senso di colpa e attrazione morbosa, come accade con una potentissima droga: che tutti, a parole, disprezzano e condannano, ma che quanti ne hanno subito la tentazione, finiscono per non poterne assolutamente più fare a meno e ne divengono schiavi.

1 La prima fonte avvelenata scaturisce dalle cosiddette “filosofie della vita”, e in particolare dal vitalismo e dall’intuizionismo di Henri Bergson (1859-1941), un ebreo che rinunciò a convertirsi al cattolicesimo per solidarietà con i suoi correligionari perseguitati dal nazismo, le cui opere Materia e memoria, L’evoluzione creatrice e Le due fonti della morale e della religione esercitarono un influsso di portata enorme sui giovani delusi dal positivismo (e dal kantismo), ma recalcitranti a un puro e semplice ritorno all’ordine e perciò particolarmente sensibili ad ogni forma d’irrazionalismo e ad ogni suggestione vagamente spiritualista.

Bergson, ad ogni modo, a un certo punto si avvicinò molto al cattolicesimo, e il suo influsso, con la mediazione della filosofia dell’azione di Maurice Blondel  (1861-1949), si esercitò direttamente sui modernisti cattolici, specie nella loro ricerca di un punto di convergenza tra fede e scienza moderna (anche se lo stesso Blondel rifiutò ogni relazione con essi). Lucien Laberthonnière (1860-1932), Alfred Loisy (1867-1940), Édouard Le Roy (1870-1954), George Tyrrel (1861-1909), Ernesto Buonaiuti (1881-1946) e il romanziere Antonio Fogazzaro (1842-1911) si ispirarono tutti, direttamente o indirettamente, al bergsonismo e Le Roy specialmente s’impegnò a realizzare una sintesi fra quest’ultimo e  il modernismo.

Come è noto, i punti principali dell’eresia modernista, condannata da Pio X con la Pascendi, del 1907, sono l’applicazione rigorosa del metodo storico-critico alla Scrittura (e alla Tradizione, ma in misura minore, per la buona ragione che essi vi credono meno); la concezione storicista dei dogmi, visti come espressione di pensieri umani e sia pure – in teoria – di origine divina; la rigorosa applicazione del metodo dell’immanenza nella pastorale e nella predicazione, sottolineando gli aspetti umani, visti come centrali, del fatto religioso; la curiosa mescolanza di metodi razionalisti, specie a livello esegetico, e altri decisamente irrazionalisti, come l’affermazione della fede quale “sentimento” di unità dell’uomo con Dio, e quindi l’adozione di una prospettiva, di fatto, non solo antropocentrica, ma quanto mai soggettivistica.

  1. Un certo quale influsso dell’idealismo, specie dell’attualismo gentiliano, sia pure indiretto e variamente assimilato o consapevolmente rifiutato, caso per caso, si riscontra, a nostro avviso, nel gruppo neotomista gravitante intorno alla Università Cattolica di Milano, e rappresentato da pensatori come Francesco Olgiati (1886-1962), Umberto Antonio Padovani (1894-1968), Gustavo Bontadini (1903-1990), Carlo Mazzantini (1895-1971) e Sofia Vanni Rovighi (1908-1990), oltre che sullo spiritualismo – che qui non c’interessa – di pensatori non cattolici come Varisco, Martinetti e Carabellese.

Quei filosofi, sia pure in forme assai più moderate del gruppo neotomista di Lovanio, capeggiato dal cardinale Désiré Mercier (1851-1926), il quale mirava addirittura a realizzare una conciliazione del cattolicesimo con il cartesianesimo, il kantismo e la fenomenologia heideggeriana (e si è visto, poi, con quali risultati!), miravano tutti, quale più e quale meno, a stabilire un certo grado di dialogo con la cultura moderna, quasi che il tomismo non fosse uno strumento speculativo adeguato se non a patto di sottoporlo ad un “aggiornamento” in chiave moderna. È questa la differenza che corre fra un libro come Il veleno kantiano del padre Guido Mattiussi (1852-1925) e Introduzione allo studio di Kant di Sofia Vanni Rovighi: la convinzione, propria dei membri del gruppo neotomista ruotante attorno alla Cattolica di Agostino Gemelli, e che per comodità chiameremo milanese (anche se la Vanni Rovighi era bolognese) che con i filosofi moderni il tomismo possa e debba cercare dei punti d’incontro, sia pur liberi da complessi di subalternità e anzi mostrando volta per volta, ma senza preconcetti, gli elementi d’incompatibilità.

Parallelamente al gruppo neotomista milanese, negli stessi anni, cioè a cavallo della Seconda guerra mondiale, dunque in una situazione storica contrassegnati da radicali mutamenti (dal fascismo e dalla Conciliazione alla Guerra fredda ed allo scontro aperto con il marxismo, ma ormai in chiave atlantista e ultraliberista e non più nazionale e corporativa) si muoveva un’altra pattuglia di pensatori cattolici: Augusto Guzzo (1894-1986), Armando Carlini (1878-1959), Michele Federico Sciacca (1908-1975) e Augusto Del Noce (1910-1989), caratterizzati da un orientamento di tipo spiritualista, anti-razionalista e anti-immanentista e nei quali è più evidente la volontà di misurarsi e chiudere i conti con l’idealismo, sia hegeliano che crociano e gentiliano, rivendicando il bisogno della trascendenza e la concretezza della persona.

  1. La terza fonte inquinata e inquinante è il personalismo, che equivale, in senso stretto, all’affermazione della centralità teoretica della persona umana e quindi reca il segno di un influsso della fenomenologia, specialmente di Husserl; e che, su un piano storico più generale, esprime la rivolta dell’istanza personalista contro i meccanismo impersonali e spietati della storia moderna che avevano condotto il mondo occidentale al vicolo cieco della Grande crisi del 1929, dopo la cocente delusione per la rapida involuzione autoritaria e statalista subita dalla Rivoluzione russa, salutata sulle prime con una certa simpatia da parte di molti intellettuali europei, e non solo della estrema sinistra.

Il personalismo, in ambito cattolico, trova compiuta espressione nelle istanze portate avanti dalla rivista Esprit (1932) e nella filosofia di Emmanuel Mounier (1905-1950), che ne è il riconosciuto caposcuola. Lo stesso Mounier, alla domanda “che cos’è il personalismo”, rispondeva: uno sforzo per risvegliare il senso totale dell’uomo. E aggiungeva, per buona misura, che il cristianesio ha bisogno di una impegno combattivo, capace di imporsi alla storia come… un secondo Rinascimento (Refaire la Renaissance è il titolo-slogan di un suo famoso articolo su Esprit). È chiaro che si tratta di un umanismo integrale in chiave attivista, comunitaria (perché presuppone la comunicazione interpersonale) ed esistenziale, nel quale l’elemento propriamente cattolico è sempre sul punto di evaporare a causa di un abbraccio troppo ampio, e forse ambiguo, con il mondo; così come è chiaro che una tale concezione mal si può conciliare, se non a parole, con la visione autenticamente cristiana dell’uomo, la quale non mette al centro la persona (che, fra le altre cose, si relaziona con Dio), bensì Dio, che chiama a sé l’uomo e gli conferisce, con la libertà, lo statuto di persona, che non possedeva nella società-precristiana e che è sul punto di perdere nella società post-cristiana, sia comunista che capitalista.

Il personalismo ha influenzato Jacques Maritain (1882-1973);  in Italia, oltre al già citato Armando Carlini, Luigi Stefanini (1891-1956), autore assai prolifico e per certi aspetti originale, anche se poco conosciuto a livello nazionale; e, al di fuori dell’ambito cattolico, il marxista polacco Adam Schaff (1913-2006). Stefanini, pedagogista oltre che filosofo, ha cercato costantemente un dialogo con l’esistenzialismo, il neoidealismo, la fenomenologia, lo storicismo e la filosofia dell’azione, vedendo sempre l’uomo come membro di una comunità; il suo pensiero si può considerare una sintesi di personalismo e spiritualismo, nel quale confluiscono svariati ed eclettici apporti del pensiero cristiano, compresi alcuni filosofi eterodossi, con una certa propensione per i moderni (Gioberti, Rosmini e Blondel) rispetto ai “classici”, come sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino. Non vi è dubbio che Blondel fosse un sincero cattolico; ma quanto di cattolico vi è nel suo pensiero e in quello dei filosofi che a lui s’ispirano?

Oggi noi tutti siamo portati a considerare come cattolico qualunque filosofia che faccia riferimento, più o meno genericamente, al Vangelo di Gesù Cristo; ma i nostri predecessori, giustamente più esigenti, restringevano l’aggettivo a quelle filosofie che si accordano senza se e senza ma con la dottrina cattolica ed evitano scrupolosamente qualunque confusione con il pensiero non cattolico e non cristiano; inoltre, che si astengono da ingiuste critiche e da imprudenti  illazioni contro la Chiesa. Ma che dire di Mounier, il quale, insieme a Mauriac, ha tenuto a battesimo la leggenda nera di un Pio XII simpatizzante e quasi fiancheggiatore del nazismo? Di Mounier che, più in generale, è sempre stato la bandiera dei cattolici ultraprogressisti (nonostante le giovanili simpatie fasciste e corporativiste) e, indirettamente, dei neomodernisti usciti allo scoperto con il Vaticano II, quelli che strizzavano l’occhio ai marxisti, sulla base di un atteggiamento, questo sì sempre fedele a se stesso, implacabilmente antiborghese?

  1. La quarta fonte velenosa è l’esistenzialismo: non quello di cui è ritenuto (a torto) capostipite Søren Kierkegaard, ma quello di Sartre e di Heidegger, e che, nonostante la sua intrinseca connotazione anticristiana e anticattolica, ha influenzato direttamene anche pensatori cattolici come l’ebreo convertito Gabriel Marcel (1889-1973) e Karl Jaspers (1883-1969), sposato con una donna ebrea, oltre al già ricordato Jacques Maritain, egli pure sposato con un’ebrea russa convertita al cattolicesimo.

Attraverso Heidegger e il suo ammiratore e discepolo gesuita Karl Rahner (1904-1984), e con la mediazione della teologia liberale protestante (specie Karl Barth e Paul Tillich) questa è la fonte che ha provocato i maggiori danni al pensiero cattolico contemporaneo, grazie alla diffusione delle opere di Hans Urs von Balthasar (1905-1988), Johann Baptist Metz (1928-2019), Hans Küng (1928-2021), Edward Schillebeeckx (1914-2009) e, in una posizione particolare, quasi di apripista, Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955). In Italia questo filone non ha prodotto grossi nomi, né sviluppi degni di particolare interesse, in compenso si è diffuso a macchia d’olio, al punto che si farebbe più presto a dire quali filosofi e teologi cattolici ne sono rimasti immuni. In pratica tutte le facoltà teologiche e tutte le riviste cattoliche, a cominciare dalla stessa Civiltà cattolica (che, ancora ai tempi di Pio XII, si esprimeva in termini ben diversi, anzi opposti, su tali nuove tendenze del pensiero teologico e filosofico in ambito cristiano), sono state acquisite a questo filone, divenuto largamente maggioritario. È degno di nota che dalla forte connotazione ebraica o filo-ebraica del gruppo iniziale sia scaturito l’orientamento del Concilio e in particolare la Nostra aetate, che segna una svolta radicale nelle relazioni del cattolicesimo con l’ebraismo. 

Riassumendo: filosofie della vita, idealismo, personalismo, esistenzialismo: le quattro fonti velenose.

 

 

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