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Oggi è più che mai necessario riaffermare “lo splendore della verità”. Ecco perché.

il blog di sabino paciolla mons. charles chaput sabino paciolla san giovanni paolo ii veritatis splendor Feb 06, 2024

di Sabino Paciolla

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Mons. Charles Chaput e pubblicato su whatweneednow.

Nell’agosto 2023 ricorre il 30° anniversario della pubblicazione di Veritatis Splendor, la grande enciclica di Giovanni Paolo II sullo “splendore della verità”. Scritta per incoraggiare un rinnovamento della teologia morale cattolica e un ritorno alle sue radici cattoliche classiche, Veritatis Splendor si basa su alcune semplici convinzioni. In breve: la verità esiste, che ci piaccia o no. Non creiamo la verità, la troviamo e non abbiamo il potere di cambiarla secondo i nostri gusti. La verità può non farci sentire a nostro agio, ma ci rende liberi. E conoscere e vivere la verità nobilita la nostra vita. È l’unica strada per una felicità duratura.

Negli anni passati, la crisi della verità, anche all’interno della Chiesa, è sembrata solo crescere. La nostra è un’epoca di casistica e di ironia, non di vero intelletto e carattere. Oggi la saggezza di Veritatis Splendor è più urgente che mai.

È comune, anche tra le persone che si identificano come cattolici, ritenere che la guida morale della Chiesa consista essenzialmente nell’imporre regole, regole che generano una sorta di fariseismo e l'”esclusione” di persone altrimenti rispettabili e benintenzionate. Ma questo è esattamente sbagliato. È un errore che fraintende radicalmente la sostanza dell’insegnamento cattolico. È anche uno dei peggiori ostacoli alla diffusione della fede.

Giovanni Paolo II lo sapeva. Così il primo capitolo della sua enciclica è una meditazione sull’incontro di Gesù con il giovane ricco (cfr. Mt 19, 16-26). Il giovane ricco cerca di entrare nella vita eterna e questo, scrive Giovanni Paolo, è il punto di partenza dell’insegnamento di Gesù su come vivere da cristiani. In altre parole, la morale cristiana consiste nel cercare la comunione con Dio, che è la nostra vera felicità, l’obiettivo della nostra esistenza umana. Le regole morali, le leggi e i comandamenti esistono e sono importanti. Ma hanno valore perché indicano qualcosa di molto più profondo: come vivere per crescere nella virtù e raggiungere la pienezza della vita.

Questa verità – che la morale cristiana non è un ammasso di legalismi morti, ma il cammino verso una felicità duratura – è stato un tema chiave del ministero di Giovanni Paolo II. Gesù viene a rivelare all’uomo la sua vera dignità. Egli libera l’uomo con la verità del Vangelo, libero di diventare per grazia ciò che Dio chiama l’umanità ad essere: figlie e figli adottivi nella gioia del suo amore. Di conseguenza, Giovanni Paolo II ha chiesto un profondo rinnovamento della teologia morale cattolica e anche dei modi in cui gli insegnamenti morali cristiani vengono presentati ai fedeli e al mondo. Voleva che la Chiesa recuperasse il suo zelo nell’affermare che non esiste vita più ricca di quella vissuta nella pienezza della verità.

È proprio su questo punto – come la Chiesa presenta la sua guida morale – che ci troviamo di fronte a nuove e gravi sfide. Ironicamente, il legalismo autoritario è molto vivo nella vita cattolica, anche se non assomiglia più alla varietà rigorista e “conservatrice” del passato. Il minimalismo morale in nome della “compassione” è altrettanto letale per la vita di fede del massimalismo legalista.

Molti teologi morali del secolo scorso, tra cui uomini come Bernard Häring, pensavano di portare la Chiesa nell’era moderna esplorando nuove frontiere morali. In pratica, però, hanno “risolto” il problema dei comandamenti morali onerosi eliminando alcune regole e generando dubbi sull’applicabilità di questo o quel comandamento in ogni caso, o sull’esistenza di qualche eccezione a regole che prima sembravano assolute.

È perché rimaniamo prigionieri di una falsa rivalità tra la verità morale, da un lato, e la libertà e la realizzazione umana, dall’altro, che Veritatis Splendor rimane così importante. Possiamo spiegarlo in tre punti.

In primo luogo, il testo ci ricorda con forza che la verità, compresa la verità morale (ciò che dobbiamo al nostro prossimo; ciò che ci porta verso o lontano da Dio), ha una dimensione oggettiva. Non è puramente una funzione delle circostanze culturali e personali. Alcune verità morali – i dieci comandamenti, i precetti fondamentali della legge naturale – rimangono sempre valide. L’oggettività della verità morale ci fornisce un punto d’appoggio in un mondo decaduto che troppo spesso ci arruola nelle sue azioni malvagie. Quando la Chiesa insegna che alcune cose non dovrebbero mai essere fatte, lancia un campanello d’allarme. La nostra libertà non è senza scopo. Non è al servizio di se stessa. Siamo stati creati con la capacità di libertà per poterci unire alla verità, sia nell’azione che nel pensiero.

Essere pienamente umani significa vivere nella verità. Perciò un pastore (o un cardinale, o un papa) non agisce in modo misericordioso se dice, per un malinteso desiderio di aiutare qualcuno alle prese con una scelta difficile: “Finché il tuo cuore è al posto giusto, Dio capirà”. Oppure: “In questo caso ti dispenso dalla legge”. O peggio ancora: “La legge è sbagliata e deve essere cambiata”. Nessun pastore, nessun cardinale e nessun papa ha il potere di riciclare una scelta peccaminosa in una moralmente accettabile. Cercando di farlo, commette una grave ingiustizia. Pecca anche contro la carità, perché peggiora il problema rubando la verità alla persona che cerca di aiutare.

Per dirla in altro modo: L’accompagnamento, correttamente inteso, è sempre una saggia strategia pastorale. Ma la destinazione di un viaggio – un viaggio condiviso da pastore e penitente – ha la sua importanza… soprattutto se il percorso li porta su un precipizio. Le azioni intrinsecamente malvagie comportano sempre un allontanamento da Dio. Questo è l’insegnamento di Gesù stesso: “Chiunque dunque trasgredirà uno solo di questi minimi comandamenti e lo insegnerà agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li compie e li insegna sarà chiamato grande nel regno dei cieli” (Mt 5,19).

La strada giusta per la felicità non è quella di rilassare la legge, ma di abbandonarsi alla potenza di Dio e alla promessa della sua grazia.

Questo porta a una seconda ragione del valore duraturo di Veritatis Splendor. Gli insegnamenti morali cattolici sono salvifici. Sono centrali per l’annuncio del Vangelo e sono, in realtà, una buona notizia. Tuttavia questa buona notizia, la nuova legge dell’amore di Cristo, non sminuisce in alcun modo i comandamenti di Dio. Giovanni Paolo la mette in questi termini:

Quando l’apostolo Paolo riassume il compimento della legge nel precetto dell’amore del prossimo come se stessi (cfr. Rm 13,8-10), non indebolisce i comandamenti ma li rafforza, poiché ne rivela le esigenze e la gravità. L’amore per Dio e per il prossimo non può prescindere dall’osservanza dei comandamenti dell’Alleanza rinnovata nel sangue di Gesù Cristo e nel dono dello Spirito. È una caratteristica d’onore dei cristiani obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cfr. At 4,19; 5,29) e accettare anche il martirio come conseguenza, come i santi uomini e le sante donne dell’Antico e del Nuovo Testamento che sono considerati tali perché hanno dato la vita piuttosto che compiere questo o quel particolare atto contrario alla fede o alla virtù. (VS 76)

La fedeltà cattolica alle verità morali – soprattutto quando altre comunità cristiane sono cadute in silenzio o si sono semplicemente arrese a una cultura ostile – ha reso la Chiesa una testimonianza vitale della verità in un’epoca di confusione. Molti di coloro che oggi si avvicinano alla fede non lo fanno a dispetto dei “duri” insegnamenti cattolici, ma proprio grazie ad essi – e questo spesso in circostanze in cui non sono nemmeno sicuri di poter essere all’altezza di tali richieste. Riconoscono in quegli insegnamenti la voce di Gesù Cristo e la fiducia della Chiesa nell’autorità della verità morale.

Ancora una volta, la soluzione alle scelte morali difficili non è riscrivere o neutralizzare la legge. Dobbiamo invece riconoscere che, da soli, non possiamo fare nulla senza la grazia di Dio. La libertà non ci è stata data da Dio perché potessimo ridefinire da soli ciò che è bene o male, ma piuttosto perché potessimo rispondere in libertà alla sua offerta di amicizia. Questa non è una visione popolare. Non dovremmo mai illuderci di pensare che, solo perché viviamo in una democrazia, siamo al sicuro dal disprezzo e dalla persecuzione “morbida” per aver rispettato la realtà della verità oggettiva. Né dovremmo immaginare che una nazione con scelte di consumo quasi infinite e nuovi diritti di autodefinizione equivalga a un’autentica cultura della libertà.

Come scrive Giovanni Paolo II:

Il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo. Se non esiste una verità trascendente, in obbedienza alla quale l’uomo raggiunge la sua piena identità, allora non c’è un principio sicuro per garantire giuste relazioni tra le persone. Il loro interesse personale come classe, gruppo o nazione li porrebbe inevitabilmente in opposizione gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora la forza del potere prende il sopravvento e ciascuno tende a fare pieno uso dei mezzi a sua disposizione per imporre i propri interessi o la propria opinione, senza alcun riguardo per i diritti degli altri. (VS 99)

La terza e ultima ragione della forza dell’enciclica è questa. In Veritatis Splendor, Giovanni Paolo ha riaffermato la classica comprensione cattolica del rapporto tra la verità oggettiva su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e il modo in cui la singola persona applica tale verità nella propria vita. Egli sottolinea quello che è sempre stato l’insegnamento cattolico: la coscienza dell’individuo non può mai essere contrapposta alla verità morale oggettiva, come se la coscienza e la verità fossero due principi autonomi e in competizione per il processo decisionale morale.

Una visione così errata “metterebbe in discussione l’identità stessa della coscienza morale in relazione alla libertà umana e alla legge di Dio. . . . La coscienza non è una capacità indipendente ed esclusiva di decidere ciò che è bene e ciò che è male” (VS 56). Piuttosto, “la coscienza è l’applicazione della legge a un caso particolare” (VS 59). La coscienza sta sotto la legge morale oggettiva e dovrebbe essere formata da essa, in modo che “la verità sul bene morale, come questa verità è dichiarata nella legge della ragione, sia praticamente e concretamente riconosciuta dal giudizio della coscienza” (VS 61).

Quando Giovanni Paolo II pubblicò la Veritatis Splendor, tre decenni fa, essa attirò ben presto le critiche di una serie di teologi “lungimiranti”. Essi videro (giustamente) che i loro sforzi – piegare gli insegnamenti morali cattolici verso standard più “umani” e “compassionevoli”, in base ai quali le verità morali potevano evolvere nel tempo, in relazione alle circostanze storiche e culturali – sarebbero stati deragliati da essa.

Quelli che oggi rimangono tra gli studiosi e i pastori della Chiesa cercano ancora modi per eludere l’insegnamento dell’enciclica, per dire che può essere stato utile in passato, ma la storia è andata avanti e le scienze sociali richiedono una revisione del pensiero cattolico. In larga misura, i dibattiti odierni all’interno della Chiesa su questioni come l’identità sessuale, il comportamento sessuale, la comunione ai divorziati e ai risposati civilmente, la natura della famiglia, non fanno altro che riesumare e rianimare le convenienti ambiguità e gli approcci flessibili alla verità che la Veritatis Splendor ha seppellito con forza. Il fatto che a questi dibattiti sia stato permesso di fiorire, di fare letteralmente “confusione” e di confondere i fedeli, è uno dei segni più deplorevoli dell’attuale pontificato.

Ma lo splendore della verità non può essere nascosto. È sempre antica, sempre nuova. A lungo andare, Veritatis Splendor sarà ricordata molto dopo che molte altre opere di papi e politici saranno dimenticate.

Sarà ricordata per una semplice ragione: Quello che dice è vero.

Mons. Charles Chaput

Monsignor Charles Chaput è l’arcivescovo emerito di Filadelfia. Questo saggio è stato rivisto e adattato dall’autore da precedenti riflessioni (2017) pubblicate da First Things.

FONTE : Il Blog di Sabino Paciolla

 

 

 

 

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