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Oggi tocca a un prete, domani sarà infangata tutta la Chiesa

emanuele gavi Feb 07, 2022
Egregio Direttore,
 
il primo febbraio è morto don Paolo Romeo, sacerdote genovese di 51 anni. Si era ammalato di Covid il 28 dicembre, un giorno dopo di me. L’ho sentito al telefono più volte, finché non è stato portato in ospedale, circa una settimana più tardi. Un mese in terapia intensiva e poi la tragica notizia. Abbiamo perso una guida, un prete vero, un grande amico. La stampa si è messa da subito a infangarne la memoria: no vax, tradizionalista, ostile al Papa. A difenderne il ricordo, e a stigmatizzare la barbarie in cui siamo precipitati, la vergognosa inciviltà di coloro che non hanno rispetto neppure dei morti, anzi ne strumentalizzano il decesso, mentendo, ci hanno pensato altri, e sicuramente meglio di quanto potrei fare io: Remo Viazzi (clicca qui), la Nuova Bussola Quotidiana (qui), una parrocchiana la cui toccante lettera è stata pubblicata da Aldo Maria Valli sul suo blog (qui).
 
No vax e quindi morto da fesso? Certo, quando muore una persona di Covid viene da pensare che se si fosse vaccinata sarebbe ancora tra noi. Ma questa è solo una di tre possibilità. Le altre? Don Paolo avrebbe potuto vaccinarsi e morire a seguito della vaccinazione, come Pietro Taurino, Stefano Paternò, Camilla Canepa eccetera eccetera eccetera. Oppure avrebbe potuto vaccinarsi, contrarre il Covid ugualmente e morirne allo stesso modo. Proprio in questi giorni il virologo di chiara fama televisiva Andrea Crisanti ha fatto notare che la maggior parte dei deceduti di Covid nell’ultimo periodo erano persone vaccinate (qui). Il che mette in dubbio ancora una volta non solo l’efficacia di tali vaccini, ma il fatto stesso che si possano definire tali.
 
Don Paolo l’avevo conosciuto nell’autunno del 2018: volevo assistere alla Messa tradizionale in rito antico, di cui avevo letto grandi cose, e una delle poche Messe domenicali celebrate secondo questo rito nella mia città la diceva lui, nell’abbazia di Santo Stefano, in centro. La Messa mi conquistò, per cui ci tornai con mia moglie e cominciammo a frequentarla abitualmente, come facciamo ancora. Il sacerdote (don Paolo) non mi colpì particolarmente, sulle prime.
 
Mi attraevano alcune caratteristiche della Messa e della comunità: il latino, che indegnamente insegno a scuola e qui trova un’applicazione nella vita reale, il silenzio, la frequenza con cui si cambia posizione durante la funzione (seduti, in piedi e, soprattutto, in ginocchio), il canto, di cui si deve dare gran parte del merito al giovane e bravissimo organista dalla voce di tenore, la durata stessa del rito e in particolare dell’omelia… La Messa in rito antico cantata in gregoriano, con la predica di don Paolo, durava un’ora e mezza, il doppio di una normale Messa parrocchiale: dura il doppio e si prega il triplo, mi dicevo. I momenti di silenzio, infatti, come la posizione in ginocchio, i canti in gregoriano, il latino, sono tutti stimoli potenti al raccoglimento e alla preghiera, strumenti indispensabili per attingere alla dimensione del Mistero. Quella che si è persa nella Messa a cui siamo abituati. Non solo: tutta la comunità che ho incontrato a Santo Stefano, e che in questi anni è cresciuta di numero, è una comunità orante. E proprio questo è un altro aiuto importantissimo: trovarsi tra persone motivate, che pregano, che la domenica vanno in chiesa per incontrare Dio, non per un’abitudine svuotata di significato o per timbrare il cartellino di un obbligo dai contorni sempre più incerti.
 
Ma tutto questo, a pensarci bene, era merito di quel pretino dal sorriso mite, che però all’ambone si infervorava e, all’occorrenza, sapeva tuonare (qui una sua catechesi). Era un predicatore vero, don Paolo. Del resto era legato (l’ho scoperto in questi ultimi giorni) all’ordine dei predicatori, ovvero dei domenicani. E la nostra piccola comunità orante, fatta non solo di anziani nostalgici, ma anche di giovani e di famiglie con bambini molto piccoli, l’ha costruita lui, è merito suo. Non stupisce che questo umile operaio nella vigna del Signore venga calunniato, ora che non può più difendersi. Che questo angolo di Paradiso in terra sia messo in pericolo addirittura da chi dovrebbe proteggerlo (la scorsa estate il Papa ha condannato a morte la Messa in rito antico, vietandone la celebrazione nelle parrocchie e vietando che si costituiscano nuove comunità tese a tenerla in vita). Secondo gli sciacalli che affollano le redazioni dei giornali don Paolo, per il solo fatto che celebrava in rito antico, sarebbe stato un nemico del Papa. A ben vedere, invece, è questo Papa che si adopera come nemico di quella Messa che è stata celebrata, per secoli e secoli, da tanti suoi confratelli, da tanti papi, da tanti santi.
 
E allora, caro Direttore, vorrei condividere con Lei questa mia previsione: se oggi viene bruttata di fango la cara memoria di don Paolo Romeo, un prete come ce ne sono pochi, domani sarà l’intera Chiesa, e per motivi opposti, a essere infangata.
 
Quando cadrà la dittatura cinese (tutte le dittature cadono), papa Bergoglio e la sua corte verranno condannati, additati come conniventi col regime per l’accordo segreto stipulato dalla Santa Sede col governo cinese nel 2018 e rinnovato nel 2020, per il sostegno che hanno tributato a chi ha oppresso un miliardo e mezzo di persone e perseguitato i fedeli delle diverse religioni, tra cui gli stessi cattolici. Poco importa che ciò avverrà, forse, quando costoro saranno già passati a miglior vita. La linea tenuta da questo pontefice, e dichiarazioni come quella di mons. Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, secondo cui oggi “quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi”, avranno come conseguenza quella di trascinare nel fango l’intera Chiesa cattolica, che verrà accusata nella sua interezza, come accade oggi, quando i suoi nemici, ricordando gli orrori del secolo scorso, amano ricordare l’atteggiamento di certi alti prelati favorevoli al nazismo, e non le vibranti omelie del vescovo von Galen contro Hitler, o i sacerdoti morti a Dachau nella “baracca dei preti”.
 
Non solo. Quando cadrà la dittatura massonica globale, che avanza creando e sfruttando la paura del Covid, e ha consolidato il suo potere soprattutto in Germania, Austria, Francia e naturalmente nell’Italia commissariata da Draghi, la Chiesa sprofonderà nel fango, finendo associata all’operato di papa Bergoglio e dei suoi seguaci. Il papa che ha imposto l’obbligo vaccinale di tre dosi a tutti coloro che entrano nella Città del Vaticano, e che guarda caso nel 2021 si è incontrato due volte in udienza privata con l’amministratore delegato della Pfizer Albert Bourla. E per seguaci intendo tutti quei preti e quei semplici fedeli che non si sono opposti alle discriminazioni di cui oggi rimane vittima chiunque osi rifiutare l’inoculazione, in nome, tra l’altro, dell’etica (i cosiddetti vaccini sono prodotti tutti e tre, o sono testati, sfruttando linee cellulari provenienti da bambini fatti nascere prematuri e sezionati senza anestesia: si veda qui qui).
 
Oggi si grida al prete no vax, morto per la sua dabbenaggine. Domani si griderà a una Chiesa complice, dimenticando chi, come don Paolo Romeo, non solo non aveva ceduto ai mille ricatti vaccinali, ma si è distinto, tra le altre cose, per il suo comportamento eroico: don Paolo (lo posso testimoniare direttamente) andava a visitare i malati di Covid, portava loro a casa i sacramenti. I suoi confratelli trivaccinati lo fanno?
 
Don Paolo non aveva paura. Come insegna Gesù: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (Mt 10, 28). Tante volte ci ha esortato, dall’altare, a non temere. Il 17 marzo 2019, per esempio, ci ricordava che chi vive da risorto non ha paura neppure della morte. Ma dobbiamo vivere da risorti! E lui l’ha fatto. Coerente fino alla fine, ha servito Cristo negli ammalati e nei sofferenti. Un vero prete e un vero uomo.
 
E il 19 dicembre 2021, nell’imminenza del Natale, ci incoraggiava a concentrarci unicamente sulla nascita di Nostro Signore, senza perdere tempo a considerare chi ci loda e chi ci insulta, senza provare rancore per nessuno. Per i suoi detrattori e calunniatori, dal Cielo, da risorto in Cristo, sono certo che don Paolo oggi non ha che parole di perdono, e prega per loro.
 
Cordiali saluti
 
Emanuele Gavi
 

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