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Scopre che le cure di genere non funzionano e non pubblica lo studio

caterina giojelli salute e bioetica tempi Oct 31, 2024

di Caterina Giojelli

Trial americano prova che i bloccanti non migliorano la salute mentale dei bambini, «non lo divulghiamo per non dare "armi" alla politica».

«Non dobbiamo pubblicare uno studio che affermi che stiamo danneggiando i bambini, perché le persone che dicono che stiamo danneggiando i bambini userebbero lo studio come prova del fatto che stiamo danneggiando i bambini, il che potrebbe rendere difficile continuare a danneggiare i bambini». J.K. Rowling ha riassunto perfettamente l’incredibile ragionamento argomentato dalla dottoressa Johanna Olson-Kennedy al New York Times.

Chi è Johanna Olson-Kennedy? Un medico che gestisce la più grande clinica per adolescenti transgender degli Stati Uniti presso il Children’s Hospital di Los Angeles. Una convintissima sostenitrice dei trattamenti di genere per adolescenti e che in qualità di esperta ha deposto in loro difesa numerosissime volte in tribunale contro i divieti statali.

Così convinta che nel 2015 viene incaricata di condurre un studio dalle grandi ambizioni: dimostrare che il “protocollo olandese” funziona, le cure di genere migliorano la salute mentale dei bambini. Insieme ai colleghi ne recluta 95, da tutto il paese, somministra loro i bloccanti della pubertà, impedisce lo sviluppo di cambiamenti fisici permanenti che avrebbero potuto aggravare la loro disforia. Per due anni li segue raccogliendo dati.

«Lo studio dimostra che le cure di genere non funzionano. Perciò non lo pubblico»

Ora però di anni ne sono passati quasi dieci. Lo studio, attesissimo, parte di un progetto multimilionario finanziato dal National Institutes of Health, il primo negli Stati Uniti a valutare i risultati a lungo termine del trattamento medico per i giovani transgender, costato quasi dieci milioni di dollari, non è mai stato pubblicato. Perché?

Perché, ha risposto candida Olson-Kennedy, il trial americano non ha confermato il protocollo olandese. E i risultati potrebbero, testuale, alimentare attacchi politici che hanno già portato a vietare i trattamenti per giovani transgender in oltre 20 stati, uno dei quali sarà presto esaminato dalla Corte Suprema. Capito? No? «Non voglio che il nostro lavoro diventi un’arma», ha tagliato corto il medico. «Deve essere esatto, chiaro e conciso. E questo richiede tempo».

Tempo? Dieci anni per 95 bambini? Hilary Cass ce ne ha messi quattro per mettere fine all’incubo di 9.000 giovani che hanno seguito tali cure tramite l’Nhs inglese nell’ultimo decennio, affermando senza mezzi termini: la terapia di genere «è un fallimento».

Dieci anni di ritardi, milioni di fondi pubblici e scuse assurde

Ma Olson-Kennedy non si perde d’animo e ragiona. Uno: se i bloccanti della pubertà non hanno portato a miglioramenti della salute mentale ai suoi bambini, ciò significa, probabilmente, che i suoi bambini stavano già bene quando è iniziato lo studio. «Stanno veramente bene quando arrivano, e stanno veramente bene dopo due anni». Peccato che non la pensasse così qualche anno fa quando insieme ai colleghi spiegava che un quarto degli adolescenti che stava seguendo era depresso o con tendenze suicide.

Due: se i dati non sono ancora stati pubblicati è stato a causa di “rallentamenti”. Sic, il suo team era stato rallentato dalla riduzione dei finanziamenti del progetto e dai “tagli della politica”. Peccato che l’Nih abbia negato la teoria, il progetto federale è stato infatti supportato dal governo fino ad oggi con 9,7 milioni di dollari.

Tre: nessuna pubblicazione, nessuna manipolazione. In questo clima tossico, sostiene la dottoressa, i risultati del suo studio potrebbero venire usati in tribunale per sostenere che «non dovremmo usare i bloccanti perché non hanno effetti» sugli adolescenti transgender. In suo soccorso è arrivata un’altra ricercatrice, Amy Tishelman, psicologa clinica al Boston College: «L’assenza di cambiamenti non è necessariamente un risultato negativo: potrebbe esserci un aspetto preventivo», ha spiegato al Nyt sostenendo che se i farmaci non hanno portato a miglioramenti psicologici, potrebbero aver però impedito a qualcuno dei bambini di peggiorare: «Semplicemente non lo sappiamo senza ulteriori indagini».

La strigliata di Hilary Cass

Agli strampalati e costosissimi “se” dei colleghi americani Hilary Cass ha replicato asciutta: «È davvero importante che i risultati siano resi pubblici, così possiamo capire se sono utili o meno e per chi». Era stata lei nella sua “Cass Review” a demolire l’entusiasmo per le cure fornite ai bambini senza «prove concrete sui risultati a lungo termine degli interventi per gestire il disagio legato al genere»:

 

«Spesso occorrono molti anni prima che i risultati decisamente positivi della ricerca vengano adottati nella pratica. Le ragioni sono molteplici. Una di queste è che i medici tendono ad essere cauti nell’attuare le nuove scoperte, soprattutto se la loro esperienza clinica suggerisce che l’approccio attuale già adottato da molti anni è quello corretto per i loro pazienti. Nel campo delle cure di genere per i bambini è successo praticamente il contrario. Sulla base di un singolo studio olandese, che suggeriva che i bloccanti della pubertà potessero migliorare il benessere psicologico di un gruppo ristretto di bambini con incongruenza di genere, la pratica si è diffusa rapidamente in altri Paesi. A questo sono seguite una maggiore facilità nell’iniziare la somministrazione di ormoni mascolinizzanti/femminilizzanti già nel periodo di mezzo dell’adolescenza e l’estensione di questo approccio a un gruppo più ampio di adolescenti che non avrebbero soddisfatto i criteri di inclusione dello studio olandese originale. Alcuni operatori hanno abbandonato gli approcci clinici standard di valutazione complessiva, il che ha fatto sì che questo gruppo di giovani sia stato emarginato rispetto ad altri giovani con presentazioni altrettanto complesse. Meritano molto di più. Il che ha significato che questo gruppo di giovani persone è stato trattato in maniera diversa rispetto ad altre persone giovani con una situazione clinica ugualmente complessa. Meritano di essere curati meglio».

Dopo dieci anni «sto ancora analizzando i dati»

Nel 2011 i ricercatori olandesi avevano riferito sui primi 70 bambini trattati con il cosiddetto “Protocollo olandese”: i dati non erano stati pubblicati ma i medici avevano già gridato al miglioramento psicologico seguito all’assunzione dei bloccanti della pubertà. Lo stesso anno nel Regno Unito venne replicato lo studio su 44 bambini senza riscontrare benefici né riduzione dei tassi di autolesionismo: tuttavia i risultati – ricorda il Nyt – sono stati resi pubblici solo nel 2020, quando i bloccanti della pubertà erano diventati ormai il trattamento standard per i bambini con disforia di genere in Inghilterra. E sappiamo, con il terribile scandalo Tavistock, con quali conseguenze.

Lo stesso anno il gruppo della dottoressa Olson-Kennedy descriveva il profilo psicologico dei bambini arruolati nello studio americano (età media 11 anni) prima di prendere i bloccanti: un quarto dei ragazzini soffriva di depressione e ansia significativa, un quarto aveva pensieri suicidi, l’8 per cento aveva tentato di togliersi la vita. Nelle previsioni inviate all’Nih la dottoressa Olson-Kennedy ipotizzava che dopo due anni di bloccanti i bambini avrebbero mostrato «una diminuzione dei sintomi di depressione, ansia, traumi, autolesionismo e suicidi, e un aumento dell’autostima e della qualità della vita».

 

Non è successo. Sarà perché «in media avevano una buona salute mentale» ha ribadito al Nyt. E quando il giornale le ha chiesto come potesse essere così quando un quarto di loro mostrava serie difficoltà, la dottoressa ha glissato dicendo che stava ancora analizzando i dati.

«Ho prescritto per 17 anni cure di genere. Gli studi non contano»

Per Cass sono stati proprio i ritardi dei gruppi di ricerca americani e britannici ad avere fatto dei bloccanti (che hanno alterato per sempre e senza prove la vita di migliaia di bambini) un totem indiscutibile. L’ideologia della «giustizia sociale» aveva guidato il processo decisionale medico e «la tossicità del dibattito» creando un ambiente in cui i professionisti avevano «tanta paura di discutere apertamente le loro opinioni». Il riferimento era ovviamente a medici, infermieri e terapeuti che avevano pagato con la carriera il loro essere giunti «a conclusioni diverse sull’approccio migliore alle cure», poteva immaginarsi che lo stesso ragionamento sarebbe stato fatto proprio da una pasionaria delle cure di genere che non vuole che la sua scoperta sulle cure di genere venga usata come arma dagli oppositori delle cure di genere ai quali questa scoperta dà ragione?

Johanna Olson-Kennedy gestisce la più grande clinica per adolescenti transgender degli Stati Uniti presso il Children’s Hospital di Los Angeles, ha «prescritto bloccanti della pubertà e trattamenti ormonali a bambini e adolescenti transgender per 17 anni», e ha osservato da sé «quanto possano essere profondamente benefici». Gli studi del National Institutes of Health, ha concluso il suo strampalato ragionamento, «sono minuscoli rispetto al numero di persone di cui ci siamo presi cura».

FONTE : TEMPI

 

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