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Storia vera dello schiavismo, parte prima

silvana de mari Jul 30, 2022

di Silvana De Mari

Sono pochissime le società umane che non hanno conosciuto schiavi. Eppure la stragrande maggioranza delle persone, quando sente la parola schiavo, pensa a una persona di origine africana nel sud degli Stati Uniti, nelle Antille, o in Brasile. Lo schiavo per antonomasia quindi è di origine africana ed è di proprietà di un bianco cristiano.

Statisticamente parlando questo tipo di schiavitù è rappresentata nel più del 90% delle narrazioni letterarie o cinematografiche. In realtà questa forma di schiavismo è stata quella di gran lunga minoritaria.

Nonostante i suoi innegabili orrori, è stata quella di gran lunga meno atroce e violenta, e, soprattutto, è all’interno del mondo cristiano che è avvenuta l’abolizione della schiavitù. Nel cristianesimo allo schiavo era concesso di vivere, morire di vecchiaia,  e mettere al mondo figli e nipoti La tratta transatlantica è durata quattro secoli, e di quegli uomini e di quelle donne tratti in schiavitù abbiamo il colore, abbiamo i discendenti, abbiamo la musica.

Nel continente americano, dagli Stati Uniti al Brasile passando per i Caraibi, vivono settanta milioni di discendenti di africani. Queste persone sono entrate a far parte di una civiltà in maniera brutale e violenta, ma ora ne fanno parte. Sono stati battezzati, condotti nel cristianesimo. Mentre ancora esisteva lo schiavismo, negli Stati Uniti c’erano non solo sacerdoti ma addirittura vescovi di origine africana. Le Bolle dei Papi cattolici sono stati il primo documento che ha condannato in maniera assoluta e definitiva la schiavitù.

La tratta dei neri d’Africa da parte del mondo arabo-musulmano, cominciata a partire dal VII secolo e ufficialmente conclusasi nel XX secolo, può essere equiparata a uno sterminio di massa, quattordici secoli sono un tempo che ha strangolato l’Africa. Si stima di circa diciassette milioni il numero di vittime dirette, deportate per morire in pochi anni e spesso castrate, cui si deve  aggiungere un numero non calcolabile, ma probabilmente uguale o maggiore di morti nella traversata, e l’infinito numero delle vittime indirette.

Quando gli schiavisti arrivavano in un villaggio, lo bruciavano e bruciavano i campi che lo circondavano. Chi restava non era in grado più di sopravvivere. Una volta tolti gli uomini, senza la loro forza, non era più possibile disboscare e arare. Per salvarsi dagli schiavisti le persone abbandonavano le terre fertili per rifugiarsi nei deserti o in mezzo alle rocce delle montagne. Le coste sudanesi del Mar Rosso, ricchissimo di pesce, sono disabitate. L’unico centro è Port Sudan, città maledetta di traffici negrieri. Senza quei traffici la costa occidentale del Mar Rosso sarebbe stato un tripudio di campi coltivati e reti di pescatori, da lì si sarebbero formate le reti stradali dei mercanti.

Nel 1985 il vescovo di Khartum comprava ancora bambini neri a 50 dollari l’uno per sottrarli al loro destino di schiavi nelle rotte verso est. Nel 1990 al Cairo 54 ministri degli esteri di paesi islamici riuniti nell’Organizzazione della Conferenza Islamica hanno riaffermato il ruolo dell’Islam della Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam. Uno degli articoli raccomanda che gli schiavi debbano essere trattati sempre con umanità giustizia, da qui si deduce che la loro esistenza è legale.

A Mosul donne cristiane e yazide, ma anche ragazzini, sono stati venduti nei pubblici mercati, insieme alle angurie.  Lo schiavismo islamico si è rivolto prima all’Europa. Non sappiamo quanti sono i milioni di europei sono stati rapiti sulle coste meridionali dell’Europa dai pirati saraceni oppure sulla frontiera meridionale dell’Ucraina dei tartari. Abbiamo reso difficile la vita agli schiavisti già nel VII secolo e abbiamo definitivamente chiuso la partita grazie alle due straordinarie battaglie, di Lepanto e Vienna.

Quando la merce caucasica non è stata più disponibile, la tratta araba si  è scatenata sull’Africa. Spiega il filosofo Pascal Brukner, nel suo saggio Un colpevole quasi perfetto, come siano sono proprio coloro che hanno abolito la schiavitù, a esserne considerati gli unici responsabili. A loro è persino negato il diritto di parlare. Soltanto i popoli indigeni avrebbero il diritto di farlo, mentre i bianchi hanno solo il dovere di fare penitenza.

Artisti e commediografi di origine africana o afroamericana spiegano che non vogliono assolutamente che persone bianche possono tradurre le loro opere o che si permettano di farne recensioni. Come hanno spiegato intellettuali ma anche imprenditori e uomini politici francesi, gli autoctoni europei hanno il dovere di evitare al massimo le loro nascite, così da poter far posto a un’immigrazione talmente massiva da diventare completa sostituzione etnica.

Dopo che i bianchi si saranno ridotti a qualche sperduta valle alpina, a qualche dimenticata fattoria islandese e a qualche peschereccio norvegese il mondo sarà migliore? Forse no, ci dicono, ma almeno giustizia sarà stata fatta. La razza bianca è colpevole, e dato che ha ancora l’arroganza di essere troppo forte per essere fisicamente sterminata, le si spiega che sarebbe cortese suicidarsi. Come è possibile che le prime nazioni che hanno abolito la schiavitù siano le uniche ad essere subissate di accuse e richieste di risarcimento?

Lo schiavismo è stato abbondantemente praticato ed è tuttora praticato da popoli africani, ma soprattutto è stato  abbondantemente praticato ed è tuttora praticato da popoli islamici extra africani. Lo schiavismo islamico è stato infinitamente più violento e tragico di quello occidentale. Non è stato solo dannatamente più grosso, dannatamente più esteso nei secoli, ma è stato anche dannatamente più atroce: uno schiavo sopravviveva pochi anni. Ha anche avuto la caratteristica di distruggere il tessuto sociale africano, di annientarlo per secoli, di distruggere civiltà che già esistevano e di rendere impossibile la creazione di nuove.

Se l’Africa non è mai riuscita a tener testa a nessun tipo di pressione esterna, con le uniche eccezioni dei pochi popoli che sono sempre stati all’esterno della dello schiavismo islamico, lo si deve a questa potenza distruttiva. Le informazioni su questo sono sempre esistite, ma all’interno di libri scritti da bianchi, cioè carogne per definizione, quindi giudicati inattendibili. Quando Malcolm X intervistato su Playboy se ne uscì con la fantastica affermazione che i bianchi cristiani erano schiavisti e gli arabi islamici liberatori, nessuno si ritenne in dovere (o in diritto) di contraddirlo, anche perché nel mondo liberal contraddire un afroamericano pare brutto e fa razzista.

L’odio contro i bianchi, a questo punto esplose, zampillò ovunque e divenne un must della sinistra liberal, a sua volta da sempre campione assoluto di semi analfabetismo storico. Ci sarà bisogno del libro scandalo dello storico franco-senegalese Tidiane N’Diaye, Le génocide voilé, il genocidio nascosto, apparso nel 2008, per riaffermare la verità, peccato che il libro sia riuscito a passare inosservato. Si tratta di un testo sconvolgente da molti punti di vista: per le informazioni scarsamente note che fornisce, per il capovolgimento di prospettiva che impone, per la nuova gerarchia che propone nei gradi di colpevolezza delle civiltà.

La sua comparsa avrebbe dovuto provocare un terremoto, soprattutto nel Maghreb e nel Vicino Oriente.  Anche Malek Chebel, grande antropologo della civiltà islamica, ha rotto il tabù pubblicando un monumentale Esclavage en terre d’islam (Pluriel, Paris, 2010). Nei libri spiegano come nell’Islam esista una legge teologica che vieta di fare schiavo un islamico. I cristiani rendevano cristiani i loro schiavi, gli islamici non rendevano islamici i loro schiavi. Agli schiavi africani quindi era vietato riprodursi: i loro figli avrebbero dovuto essere islamici, quindi non avrebbero potuto essere schiavi.

La tratta atlantica portava gli schiavi neri a vivere in schiavitù, generando 70 milioni di discendenti. La tratta araba li portava a morire in schiavitù. La vita media in schiavitù non superava i sette anni. Non potevano sposarsi, non potevano avere figli, spesso venivano castrati. La castrazione riguardava ovviamente i guardiani dell’harem, ma spesso riguardava anche schiavi addetti ad altri lavori, anche a costo di privarli della forza fisica virile. La castrazione è un’operazione atroce sia per il corpo che per la mente. Inoltre all’epoca era gravata da una mortalità dell’80% a causa delle complicanze settiche e renali. La castrazione era quasi sempre riservata anche ai figli nati da unioni dei padroni con donne nere. Questo il motivo per cui noi non associamo la Persia e l’Arabia allo schiavismo, mentre associamo gli Stati Uniti e le Antille. Non ci sono i discendenti, i cromosomi, la musica. Non c’è nulla.

Li hanno annientati: ridotti a niente.

 segue

 

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