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Violenza ai bambini: La linea sacra che non si può oltrepassare.

il blog di sabino paciolla leonardo lugaresi sabino paciolla Oct 18, 2023

FONTE : Il Blog di Sabino Paciolla

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto dal prof. Leonardo Lugaresi e pubblicato sul suo blog. 

Chi fa violenza ai bambini – chiunque, mosso da qualunque causa e in qualsiasi modo, fa violenza anche ad un solo bambino oltrepassa una soglia. Un confine sacro, oltre il quale la capacità di perdono degli uomini non può, e oso dire non deve (nel senso che non ne ha il diritto) spingersi. Dio sì, Lui può perché non c’è male che, nella sua onnipotenza d’amore, Egli non possa redimere, purché l’uomo peccatore glielo chieda. Ma per chiederglielo, il peccatore deve esserne pienamente consapevole e provarne autentico dolore; e il dolore del pentimento di aver fatto violenza a un bambino, per colui che veramente lo provasse, sarebbe di una tale intensità da spaccargli il cuore. Contrizione si chiama, nel lessico cristiano, il dolore dei peccati commessi, e vuol dire appunto che a pensarci ti si frantuma il cuore: qualche crepa, per i peccati più piccoli; un mezzo infarto, per quelli più grossi; del tutto, per una colpa di questo genere. L’uomo che ha ucciso, violentato, offeso dei bambini, se si pente, può solo urlare a Dio la supplica di farlo morire presto. E Dio, che solo può e vuole perdonarlo, è stato chiaro sull’argomento: chi “scandalizza” – (in questo verbo ci sta tutto il male che gli adulti fanno ai bambini) – «uno di questi piccoli che si fidano di me» – (e tutti i bambini si fidano, naturaliter, di Dio) – «conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare» (Mt 18, 6).

La ragione della “sacralità” dei bambini è profonda e radicale, e non ha molto a che fare con quel sentimento, peraltro universalmente diffuso, che tanto concorre a far scattare in tutti noi una reazione istintiva di ripulsa nei riguardi del male fatto ai bambini: quella cosa che chiamerei cucciolaggine, cioè l’intenerimento empatico che è così difficile non provare nei riguardi dei piccoli di tutti gli animali. Gli etologi sostengono che si tratta di un dispositivo accortamente messo in atto dalla natura per proteggere gli individui più deboli e più preziosi per la sopravvivenza della specie: con un aspetto così accattivante è più difficile per gli adulti non proteggere i cuccioli, o addirittura accanirsi su di loro. È un meccanismo di difesa che sembra efficientissimo, ma che in realtà mostra tutta la sua debolezza quando i piccoli “non hanno apparenza né bellezza”, o perché sono malformati o perché non si vedono proprio. Nel caso dell’animale razionale che siamo noi, inoltre, l’inanità di tale ragione per garantire il rispetto dei piccoli si rivela proprio nella sua comprovata incapacità di difendere dall’odio i “figli del nemico”, cioè i figli di colui che ha ucciso i tuoi figli.

La ragione vera della sacralità dei piccoli è un’altra: i bambini, tutti i bambini (anche quelli “fatti male”, anche quelli che non si vedono perché non sono ancora venuti alla luce e addirittura non hanno ancora le fattezze di un bambino, ma sembrano piuttosto dei girini come gli embrioni) sono partecipi di una umanità iniziale, più vicina a Dio. Dio ha preso parte al loro concepimento, infondendo direttamente l’anima immortale nel corpo generato dai genitori (con buona pace di quei teologi, anche illustri, i quali sostennero la dottrina opposta, chiamata traducianismo, che la chiesa non ha approvato), e quelle piccole creature, benché soggette alle conseguenze del peccato originale, sono esenti dalla benché minima traccia di peccato attuale. Totalmente innocenti, benché segnati dall’impronta della caduta dei progenitori: in nessun altro essere, come in loro, risplende il mistero della creazione “a immagine e somiglianza”. Nessuno, a questo mondo, è altrettanto vicino al Padre. Ecco perché è così blasfema, così insopportabilmente turpe, così intrinsecamente malvagia ogni offesa all’infanzia. Maxima debetur puero reverentia: benché dettata da un pagano, questa massima trova adeguata fondazione e comprensione solo nella rivelazione cristiana.

Faccia dunque il governo di Israele tutto ciò che deve fare contro i terroristi di Hamas assassini di bambini. Nessuna obiezione morale, nessuna garanzia giuridica, nessun interesse politico valga più a difenderli: chi ammazza i bambini, oltrepassando quel solco sacro, si inoltra per sua scelta in un terreno in cui non reggono più le norme di tutela dell’umano consorzio. Ma non faccia violenza in alcun modo ai figli di quegli stessi assassini, neanche se fosse necessario per raggiungere e colpire i padri. Se lo facesse, se lo farà (e se lo ha fatto) si collocherebbe sullo stesso piano, diventerebbe (diventerà) uguale a loro. L’ipocrita distinzione tra vittime di omicidio volontario e vittime di “danni collaterali” (ampiamente previsti e dolosamente voluti) può forse avere un qualche gioco davanti a una corte penale internazionale, non davanti al tribunale di Dio.

L’occidente, che ha eretto l’aborto a diritto fondamentale, queste cose non le può capire. Tantomeno possono capirle i barbari di Hamas, che non amano né gli uomini né Dio. Peggio per noi, peggio per loro. Mai Gesù è stato così terribile come quando ci dato questo avvertimento: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18, 10).

Leonardo Lugaresi

Leonardo Lugaresi ha conseguito il Dottorato di ricerca in “Studi Religiosi: Scienze sociali e studi storici delle religioni” presso l’Università di Bologna e presso l’École Pratique des Hautes Études – Section des Sciences Religieuses. Fa parte del “Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina” e della “Association Internationale d’Études Patristiques”. Già docente a contratto di Letteratura cristiana antica presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna; nell’a.a. 2007-2008 è stato docente a contratto di Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Chieti. 

 

 

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