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Monsignor Antonio Livi

Toscano di Prato, classe 1938, fin da bambino sentì la chiamata del Signore alla vita sacerdotale, con la missione particolare di difendere il Dogma. Mons. Livi fu socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso; decano e professore emerito della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense e collaborò con papa Giovanni Paolo II alla stesura dell’enciclica Fides et ratio (1998).

Chi lo ha conosciuto personalmente o ha avuto con lui un rapporto epistolare (cartaceo o elettronico), lo ricorda come il classico toscanaccio sanguineo e burbero, ma sempre disponibile e affabile.

Fondatore della casa editrice Leonardo da Vinci, da cui è ancora possibile acquistare i suoi libri – essendo stato uno scrittore instancabile –, tra i quali ricordiamo il trattato Vera e falsa teologia. Come riconoscere la vera scienza della fede da un’ambigua “filosofia religiosa”(Casa editrice Leonardo da Vinci,), che riassume la sua lotta degli ultimi cinquant’anni.

In una video-intervista a Corrispondenza Romana del 17 settembre 2012 infatti spiegò che nella teologia sacra o rivelata «l’oggetto non è tanto quello che la ragione possa sapere di Dio con le proprie risorse, quanto piuttosto quello che Dio ha detto di Se stesso in Gesù Cristo». Perciò «la vera teologia, per i cristiani, è interpretazione del Dogma». Mentre altro non sono che ambigue “filosofie religiose” quelle “teologie” che cercano «una riformulazione del Dogma – o addirittura una rivoluzione rispetto al contenuto del Dogma», arrivando infine a confutarlo.

La sua difesa del Dogma cattolico fu dunque determinata: non ebbe paura di affrontare quelli che egli giustamente definì cattivi maestri e falsi profeti, benché fossero intoccabili nell’establishment catto-progressista. Emblematica è senz’altro la sua critica agli scritti di Enzo Bianchi, il sedicente monaco fondatore di Bose, quando questi era all’apice del suo “potere” dentro e fuori la Chiesa. Dalla sua “scure” non sono stati risparmiati neppure i “guru” della nouvelle théologie, tra cui i gesuiti Pierre Teilhard de Chardin e Karl Rahner. Non ebbe remore neppure a definire lacunosa (e non solo) – in quanto inficiata dal protestantesimo – la teologia di Joseph Ratzinger.

Poco dopo la diagnosi della malattia, mons. Livi cominciò a prendere degli appunti su come prepararsi alla morte, che riordinò prima dell’aggravamento delle sue condizioni, pubblicati postumi col titolo Preparazione alla morte. Riflessioni teologiche a partire dall’esperienza (Casa editrice Leonardo da Vinci). Vogliamo riportare alcune di quelle riflessioni, perché oltre che teologiche, sono le preziose testimonianze di un battezzato e di un sacerdote consapevole che ciò che conta nella vita – paradosso del Cristianesimo – è la morte, ovvero andare incontro allo Sposo, Cristo, che viene. «Racconto questo agli amici che sono in sintonia spirituale con me – scrive mons. Livi – e pubblico questa conversazioni non per parlare ultimamente di me né di loro, ma per parlare di Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo), esaltando la sua infinita Misericordia (per quanto possibile al mio inadeguato linguaggio) e ringraziandoLo con tutto il cuore ora, proponendomi di continuare incessantemente a ringraziarLo finché avrò coscienza».

La preghiera è stata la forza e la consolazione di mons. Livi: «Passo quasi tutta la notte sveglio a fare orazione e a dialogare con il Signore come non mai nella mia vita precedente. E passo da momenti di richiesta di sollievo fisico a momenti di piena accettazione del dolore con ringraziamento convinto per come mi sta santificano. E ho capito finalmente che cos’è la santità: solo opera di Dio, che può fare a meno anche della corrispondenza alla grazia da parte della persona beneficiata (come i santi Innocenti)…».

Non poteva mancare una saggia considerazione: «Vivere il presente, necessario per vegliare il futuro. Molta della sofferenza che ci infliggiamo è legata al fatto che non vogliamo vivere il momento presente. Preferiamo tormentarci nel passato, oppure avere timore per il futuro, ma sfuggiamo in questo modo l’unico momento vero che ci è dato di vivere, legato al nostro oggi, al qui ed ora».

Mentre si preparava alla morte, mons. Livi pregava per la Chiesa, che sta vivendo una delle crisi più drammatica della sua storia bimillenaria. Raccomanda perciò «la salvezza dai monasteri. Il monaco ha due funzioni. La prima è l’affermazione del primato di Dio ossia l’adorazione in tutte le sue forme. Inoltre, come vero figlio di Dio deputato alla lode e alla sua gloria, il monaco è libero di agire lasciandosi usare laddove vi siano necessità urgenti, perché non è impegnato in alcuna opera particolare che lo distragga da questo. Ma occorre che il monaco sia veramente tale, ossia non abbassato alle mondanità varie o addirittura da attività che sviliscono la sua stessa vocazione».

Fedele presbitero di Santa Romana Chiesa, cercò sempre di difendere l’autorità della Gerarchia, ma seppe anche riconoscere che quelli che ne fanno parte stanno diffondendo errori e propagando eresie. Nel 2017 firmò la Correctio Filialis De Haeresibus Propagatis, la “correzione filiale” consegnata a papa Francesco l’11 luglio dello stesso anno. Poco prima di morire, allo stremo delle forze, disse al prof. Enrico Maria Radaelli, suo amico e collaboratore da tanti anni: «Enrico Maria, dogma, dogma, dogma. Vaticano I sì. Vaticano II no. Hai capito? Scrivi: Dogma, sì. Vaticano I, sì. Vaticano II no, no, no. Scrivilo a tutti, scrivi bene. Questa è la Chiesa. Questa. Solo questa». A-Dio, don Antonio. Grazie. 

Fonte:https://www.corrispondenzaromana.it/

 

Siti Web: Casa Editrice Leonardo Da Vinci 

Unione Apostolica Fides et Ratio

 

 

 

Alcuni video di Monsignor Antonio Livi