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Avvenire appoggia la carriera alias, tradendo Cristo

la nuova bussola quotidiana roberto marchesini Nov 18, 2022

di Roberto Marchesini

Ho letto con interesse lo scambio tra Maria Rachele Ruiu e il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, sulle pagine dell’edizione di domenica scorsa. L’episodio all’origine del dibattito è quello accaduto al Liceo Cavour di Roma. In realtà non ho molto da commentare sulla lettera dell’amica Maria Rachele; i motivi di rimuginamento stanno tutti nella risposta del giornalista.

Il dottor Tarquinio non ha nulla da eccepire sulle cosiddette «carriere alias», cioè il riconoscimento da parte della scuola di nome e sesso scelti dallo studente diversi da quelli assegnatigli dai genitori e dal buon Dio. Potrebbe sembrare un gesto di condiscendenza nei confronti di studenti con difficoltà; oppure, un tentativo di aggirare la normativa italiana, l’ennesimo modo per mettere gli italiani di fronte al fatto compiuto. Un po’ quello che è accaduto con le unioni civili, ormai percepite come «matrimoni gay». Ma c’è dell’altro: in fondo, si tratta di uno strumento per negare che l’identità sia «data» e non scelta; che l’uomo debba accettare la realtà e non crearla a suo piacimento, come se fosse Dio; e, in ultima analisi, che esista una legge naturale, espressione del Logos divino, di fronte al quale l’uomo è tenuto ad inginocchiarsi. In buona sostanza, di fronte alla scelta posta dal Logos incarnato («Chi non è con me, è contro di me», Lc 11, 23), il direttore di Avvenire si pone serenamente dall’altra parte.

Saltiamo altri punti problematici e planiamo verso la fine della risposta, quando il direttore scrive: «Ci vuole scienza, civiltà, senso della misura e anche del proprio limite. E nessun infuocato derby». Traduco: l’importante è rispettare i sentimenti di tutti, non metterli a disagio, farli sentire accolti così come sono (o come si sentono). Consultiamo l’Enciclopedia dell’italiano Treccani, alla voce «Politically correct»: «L’espressione angloamericana politically correct (in ital. politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone». Non è forse quello che ha scritto il dottor Tarquinio? Non importa quale sia la verità, l’importante è mantenere toni pacati e rispettare tutti. C’è qualcosa di male, nel politicamente corretto? Sì. Non è altro che un randello da tirare in testa a chi crede nella legge naturale. Chi ha una certa età (come me) ci è già passato.

Un tempo, quando i nemici della legge naturale erano in minoranza, si ripeteva allo sfinimento: «Bisogna sempre sentire entrambe le campane, bisogna dar modo anche a chi non la pensa come noi di esprimersi»; si citava un falso Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa farlo»; si sventolava la Lettera sulla tolleranza di Locke; bisogna, si diceva, affrontare le cose dal punto di vista scientifico, non dogmatico. Tutto questo, ripeto, quando i nemici erano in minoranza. Bene, ci siamo cascati. Abbiamo pensato che fossero regole tutto sommato ragionevoli e accettabili per un dibattito sereno; abbiamo concesso loro cinema parrocchiali, pulpiti, pagine dei giornali cattolici, li abbiamo invitati a kermesse internazionali. Se qualche cattolico si mostrava troppo apologeta, zelante o irritato dal megafono offerto all’errore, lo si allontanava al grido di «Bigotto, medievale, intollerante». E poi? Poi è successo che i nemici sono diventati maggioranza.

Chi la pensa in modo diverso dal mainstream viene insultato, lasciato senza lavoro e stipendio; i crocefissi sono scomparsi dai luoghi pubblici e se una giornalista televisiva si presenta al lavoro con un crocefisso al collo, apriti cielo! Chi manifesta in silenzio, leggendo un libro, viene insultato, deriso e persino aggredito fisicamente. Non esiste più il contraddittorio perché non si può dare spazio a certe posizioni retrive e fuori dalla storia. Potrei continuare, ma ci siamo capiti: queste regole tutto sommato ragionevoli e accettabili sono a senso unico. Servono semplicemente per mettere a tacere chi crede nella legge naturale.

Perché dico «chi crede nella legge naturale» e non, semplicemente, i cattolici? Perché - e la risposta del dottor Tarquinio lo conferma - negli ultimi anni sembra che i peggiori nemici della legge naturale siano proprio i cattolici, almeno gran parte di essi o la parte più rappresentativa di essi. Con l’aggravante, rispetto a massoni, liberali e post-comunisti (le due categorie sono sempre più confuse) di rivolgersi a persone legate, da obbedienza o affidamento, ai rappresentanti della Chiesa cattolica (l’editore di Avvenire è la Conferenza Episcopale Italiana).

Non posso far altro, a questo punto, che chiudere con due rimandi; il primo alla Divina Commedia. Dante dedica il nono cerchio dell’Inferno, l’ultimo, ai traditori di chi si fida; e la quarta zona del nono cerchio, quella più vicina alle bocche di Lucifero, ai traditori dell’autorità suprema. Qui si trova Giuda, che ha tradito Cristo, il Logos incarnato. Il secondo rimando è al libro del profeta Isaia, il più misterioso e cristico dei profeti, colui che ha profetizzato in modo impressionante la venuta e la morte di Gesù. Tra le sue profezie leggiamo queste terribili parole: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (Is 5, 20).

Ognuno faccia i suoi conti.

 

 

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