CONFRONTO TRA GRAZIA, FEDE E GIUSTIZIA (parte seconda)
Jun 03, 2025
di Emanuele Sinese
Il 19 maggio papa Leone XIV prende possesso della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Nell’omelia il Santo Padre mette in risalto tre elementi portanti dell’esperienza di fede cristiana: la grazia, la fede e la giustizia.
FEDE
La fede cristiana è la consapevolezza che lo sguardo di Dio si posa sull’uomo. Il Dio che Gesù ha rivelato non è il Demiurgo di Platone il quale vivifica la materia, le conferisce forma e ordine. Egli non crea dal nulla, ma rifacendosi al mondo delle idee da forma alla materia amorfa. Il mondo però è una copia imperfetta del mondo delle idee, in quanto la realtà la percepiamo con i nostri sensi. Il mondo a sua volta è eterno, perché il tempo prodotto dal demiurgo non avrà mai fine. Il demiurgo è una divinità buona e il male è il risultato dell’imperfezione della materia, di cui l’uomo è costituito. Il Dio che Gesù ha svelato non è nemmeno il Motore Immobile di Aristotele che avendo creato per emanazione il cosmo si dissocia da esso. La fede cristiana è esperienza vitale di Dio. La Ruah infatti soffia e aleggia su tutti coloro i quali hanno il cuore preposto ad accogliere i Semina Verbi.
ESPERIENZA DI FEDE NELL’ANTICO TESTAMENTO
Il popolo prescelto manifesta una fede reverenziale, riconosce la presenza di Dio nell’avvenire. Lui, l’innominabile, si presenta così:
Ehyeh aser ehyeh: Io sono Colui che sono. Sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.
Egli conduce Israele verso la Terra Promessa, la quale nell’interpretazione neotestamentaria è la Gerusalemme celeste. La personalità di YHWH si manifesta, quindi, nella vicissitudine della storia israelitica, anzitempo con Mosè il profeta che finalmente ristabilisce le sorti degli ebrei. Mosè, oltre ad essere riconosciuto dalle altre religioni abramitiche, è la figura di svolta per gli israeliti, per differenti motivi: il primo è la contrapposizione del monoteismo, quindi dell’univocità di Dio rispetto ai culti cananaici. Il profeta rivela ed afferma, attraverso il decalogo, la volontà interattiva di Dio, che dà senso all’alleanza. L’intesa è un incontro costante e attivo tra il creatore e le sue creature. Mosè infatti nel primo comandamento ricorda e pone in risalto l’esistenza di un solo Dio! Chi è questo Dio? È un Dio geloso, ma non nella dimensione di possesso, ma in senso ultimo. Il libro dell’Esodo infatti al cap. 34, 14 afferma:
Tu non adorerai altro Dio, perché il Signore, che si chiama il geloso, è un Dio geloso.
IN COSA CONSISTE LA GELOSIA DI DIO?
Essa è la ferma volontà escatologica. Dio ponendo la sua creatura per eccellenza nel mondo: l’uomo gli ricorda che non è del mondo. Dio dona così all’umano la capacità di rappresentarlo nel corso fattivo della storia, senza però ridurlo a immagine e somiglianza umana. L’umano, pur essendo testimone e rappresentatore di Dio, non lo circoscrive alle attese personaliste, che possono contrastare i dettami divini. In riferimento infatti Mosè invoca il perdono dell’Altissimo nei confronti di un popolo, che preferisce le nefandezze pagane, all’assolutismo Jahvista. Non è un caso che il mite Mosè più volte in orazione, inginocchiato sulla nuda terra, invoca l’intercessione di Dio per un popolo sì amato, ma dalla dura cervice. La prostrazione di Mosè è allegoria di Gesù nel Getsemani che invocò il Padre per l’umanità da Lui beneficata, ma mal corrisposta alla comprensione del cruento sacrificio. Mosè quindi è l’intermediario della misericordia divina anche per il popolo egiziano che si arrogava la presunzione e il diritto di venerare come dio, oltre alle varie divinità pagane, anche il faraone quale uomo sottoposto alla caducità dell’esistenza e quindi bisognoso dell’incontro liberante con il Signore dei Signori. Le divinità politeiste altro non sono che invenzioni umane, per rispondere all’inettitudine spirituale del soggetto che con l’avvento di Abramo primo profeta scelto da Dio lascia il posto alla reale ed essente espressione di fede, il cui fine è Cristo.
IL CANTO DEL MARE PREGHIERA DI MOSE’
E’ un inno di gioia, di lode e gratitudine che Mosè esprime nei confronti di Dio per aver fatto uscire dalla schiavitù dell’Egitto il popolo amato. Codesto canto è inno di testimonianza della potenza di Dio e della sua capacità di liberare il suo popolo.
QUALE SIGNIFICATO?
In suddetto inno epico si fondano i temi della vittoria, così come della salvezza; che si realizza nell’ingresso presso la terra di Canaan. Il Canto del Mare è da un versante il qui e ora, quindi il passaggio fisico del popolo d’Israele ove è inclusa anche la dimensione teologica del pellegrinare. Le acque che si scindono, sono la volontà coscienziosa di separarsi dai culti pagani, per poter vedere il monte su cui verrà costituito il futuro Santuario: il Tempio di Gerusalemme prefigurazione dell’esodo ultimo, quello compiuto da Cristo. Il Canto del Mare è atto di vocazione, acciocché il popolo che Dio ha salvato ed educato alla fede sia segno di amore e umiltà. Ancora una volta si allude all’evento cristico. Gesù rivela infatti l’amore di Dio che si attua sulla croce, ove i redenti in correlazione tra ragione e coscienza sono chiamati a esserne parte e partecipi. La partecipazione cristologica della creature alla croce del Redentore non è la ricerca volontaria del dolore, bensì la ferma decisione di riconoscere Cristo quale archè della realtà. In divenire l’unità rimanda al pane eucaristico. L’Eucaristia costituisce la Chiesa; essa è sacrificio incruento della croce di Gesù Salvatore. Essa è l’adempimento della Pasqua ebraica e degli eventi che accadono nell’Esodo. Il memoriale eucaristico oltre a rendere presente l’assente nella Parola proclamata, nei gesti e all’epiclesi, proietta verso il fine ultimo, ove nel banchetto celeste si contemplerà definitivamente il bene massimo. L’Eucaristia in comparazione ai differenti avvenimenti veterotestamentari sono essi senso.

Si pensi al sacrificio di Isacco. Isacco è Cristo issato sulla croce, quale vittima innocente per l’umanità. Certo tra Isacco e Gesù vi sono sostanziali differenze. La prima: Isacco viene sostituito da un ariete. La seconda: riconosce Gesù come il seme che muore. Egli inevitabilmente doveva gemere per il lavacro umano. Non vi era ulteriore possibilità, se non il morire come condannato alla più atroce e umiliante delle morti. Un ulteriore significato consta nel fatto che la richiesta di sacrificare Isacco è il porre alla prova la fede di Abramo. La morte volontaria di Cristo è diversamente testimonianza dell’amore immane da parte di Dio per l’uomo, oltre che sacrificio necessario, come sopra citato. La prova o le prove a cui Dio sottopone le sue creature, ivi i Santi sono per il bene della persona, affinché imparino a resistere al male e divengano sempre più fedeli a Dio tale da crescere in umiltà. Il libro del Deuteronomio al cap. 8, 16 scrive:
Nel deserto ti ha nutrito con la manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine del bene.
DAL CANTO ALLA PROFESSIONE DI FEDE
Al versetto 13 dell’inno, Dio si presenta come il pastore del suo popolo. Il pastore è colui che ha cura delle sue pecore. Il pastore a livello teologico cristiano è simbolo di unione e universalità. L’unione di tutti i battezzati con il proprio vescovo, che li precede nella carità, ma allo stesso modo insegna loro i dettami della fede, li preserva dai falsi profeti e con l’ausilio del pastorale conduce per retta dottrina, fede e morale il popolo che Dio ha lui affidato. L’unione è in correlazione con l’universalità della Chiesa; essa richiede sia da parte dei laici che dei vescovi l’unione con il Sommo Pontefice, quale vescovo scelto per essere il Vicario di Cristo e successore di Pietro. Egli è il garante e difensore in persona Christi del Depositum Fidei.
LA FEDE CRISTIANA
Il mistero del Natale segna l’inizio della nuova era, il cui apice come già più volte citato si attua nella Pasqua preceduta da periodi liturgici che a essa preparano. Che cos’è l’esperienza di fede cristiana? Il Cristianesimo non è un platonismo per il popolo, come affermava Nietzesche per denigrare coloro i quali anche sul finire dell’Ottocento si affidavano a Dio piuttosto che alle moderne scienze empiriche.
Il Cristianesimo è la fede della Parola che accade nell’incontro con Cristo. E’ l’io che va verso il tu, quel tu che è la Rivelazione cristologica di Dio. Il Cristianesimo comunica Gesù che si fa storia e vive nella storia umana.
In successione a suddetta storicità giungono i dogmi e la morale, quali indicazioni per condurre e vivere a pieno l’esperienza cristica della grazia. Lo stesso dogma, quale verità di fede assoluta, è contemporaneamente accadimento storico. Si pensi tra i più conosciuti il dogma dell’Assunzione di Maria. L’Assunzione di Maria è prefigurazione del fine a cui il nostro corpo è destinato. Un fine di nascita al cielo, ove non si proseguirà certamente la vita terrena, ma si diletterà integralmente il Signore dei Signori.
L’ENTITA’ CARITATEVOLE DELLA FEDE CRISTIANA
L’etimologia del termine carità è amato. San Girolamo nella Vulgata traduce carità con agape, quindi grazia. La carità cristiana è anzitempo accoglienza dalla grazia trionfante, prima che delle realtà materiali. Non si può amare il prossimo, se non ci si pone nella condizione di essere redenti da Cristo. Gli atti di carità materiale devono sempre avere Cristo come fondamento, se no cedono alla dimensione orizzontale delle fede, ove l’antropologico e il sociale sono elevati a negazione di Cristo. La carità è un carisma dello Spirito Santo che edifica l’uomo: ecco il motivo per cui il Magistero della Chiesa l’ha elevata come virtù teologale, perché solo se si è aperti ad essa si giunge alla felicità di Cristo. La carità pervade l’intera esistenza umana, quindi i rapporti relazionali, le scelte di governo, affinché in nome della fede l’uomo sia fautore del Sommo Bene e a Egli correlato di azioni virtuose.
I DOGMI DI FEDE CRISTIANA
Dall’esperienza di fede non si possono scindere i dogmi. Essi sono verità incontrastabili, che rivelano la soprannaturalità memorabile di Dio. Il fine del dogma rimane sempre la redenzione e quindi la volontà di dimorare nella grammatica umana. Esso in circolarità con la misericordia eccelle l’umano al divino. I dogmi sono elemento integrante della contemplazione di Gesù Salvatore.
QUALE SIGNIFICATO HANNO IN SE I DOGMI?
Affermare gli attributi comunicabili di Dio quali l’unità, la conoscenza, la sapienza, la verità, la bontà, la santità, la giustizia e la sovranità. Si evince che suddetti elementi che compongono i dogmi hanno come fine l’uomo. Si pensi alla sapienza trinitaria che si riceve nel Battesimo e si completa mediante la confermazione; essa consta da parte del credente nella docilità allo Spirito Santo che rivela la volontà di Dio nell’incarnazione del logos. Il logos è la sapienza massima del divino, perché Lui ha definitivamente indicato chi è Dio. Non si aggiunge nulla a tale sapienza, in quanto appartenente alla Rivelazione pubblica di Gesù che si conclude con la morte dell’ultimo discepolo. La fede trinitaria è ordinata e indivisa, in quanto vige una subordinazione processionale tra le tre persone. Suddetta subordinazione è il patrismo trascendente, che nel Figlio per azione pneumatologica diviene immanente. L’orante nel proferire la prece “Credo in unum Deum” afferma la volontà di riconoscere Dio come il fondamento del mondo e il datore di ogni forma di vita; infatti la professione prosegue narrando che per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Il mondo per natura è trinitario, dacché già all’atto della creazione (quale opera trinitaria) Dio aveva pensato di assurgere a se per mezzo di Cristo in cui lo Spirito agisce le intere sue creature.
SANTITA’ E DOGMA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE
Maria è fondamentale per i cristiani. Ella è un “luogo” biblico e teologico.
Biblico: il protovangelo della salvezza (Gen. 3, 15) annuncia la venuta di una nuova donna:
Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno
Nel Cantico dei Cantici al cap. 4, 7 si allude a Maria come colei che è Santa e pura:
TUTTA BELLA SEI, MARIA,
E NESSUNA MACCHIA E IN TE,
TU LA GLORIA DI GERUSALEMME,
TU LETIZIA D’ISRAEL.
In Proverbi 8, 24 l’autore riconosce la presenza di una creatura superiore alle altre:
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata; quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua.
Teologico: Maria è la charis. L’evangelista Luca al cap. 1, 28 presenta l’Arcangelo Gabriele che a Maria rivolge tale saluto: Rallegrati piena di grazia. Il saluto è l’affermazione dell’unione precostituita tra Dio e Maria. Lei già nel grembo dei genitori venne unita al divino, perché purificata e quindi degna di partecipare per prima alla gloria del Figlio, sempre a Lui subordinata. Si evince quindi tutta la dimensione teologica che la Vergine Maria ha in sé. Maria dunque con la sua purezza e santità conduce l’uomo a Dio. La virtù della purezza è la condizione sine qua non per giungere al regno promesso. Si pensi alla Trasfigurazione narrata da Luca (9,29) Gesù manifesta la sua divinità mediante il corpo, quindi la materia, che è destinata alla gloria. La purezza anticipa la vita futura. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. Essa nobilita l’anima. La purezza certamente è in relazione con differenti aspetti di vita, che vertono dal contrasto alla porneia sino alla capacità di avere un linguaggio e pensiero puro come lo ebbero Gesù e Maria. E’ dall’intelletto umano che si originano i peccati, in quanto Satana agisce sui sensi mediante l’irrazionalità umana. Esso conduce, offuscando la ragione, a peccare. Maria è quindi la creatura di riferimento per nello status di subordinazione, perché mediante un’altra virtù, l’umiltà, si accresca nelle creature peccatrici, ma redente, lo spirito di corrispondenza all’amore di Dio. Dio non può di certo albergare in un cuore tracotante. La tracotanza storica devasta le sorti umane, perché oppositrice per natura al Redentore Sommo.
FONTE : Libertà e Persona
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