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Massacri ucraini nel Donbass, l’orrore che non fa notizia

attualità geopolitica Mar 15, 2022

di Redazione Ricognizioni

Avremo lavoro non loro! Avremo le pensioni e loro no! In nostri bambini andranno a scuola e all’asilo, i loro rimarranno nelle cantine! Avremo benefici per pensionati e figli, loro no! Perché non possono fare niente. Ed è così, proprio così, che vinceremo questa guerra”. Era il 2014, l’Ucraina era da poco “tornata alla democrazia” grazie al colpo di stato fatto passare dai media occidentali per una pacifica rivoluzione colorata e Petro Oleksijovyč Porošenko, allora presidente, era stato chiarissimo circa il destino riservato alle popolazioni del Donbass.
Chi abbia un minimo di memoria storica, ascoltando questo agghiacciante discorso, non può fare a meno a pensare allo sterminio dei vandeani perpetrato in nome della prima tra le rivoluzioni colorate, quella francese. Discorsi e intenti sono gli stessi: “Non esiste più Vandea, cittadini repubblicani, essa è morta sotto l’albero della libertà con le sue donne e i suoi bambini (…) Eseguendo gli ordini che mi avete dato, ho fatto calpestare i bambini dai cavalli, ho fatto massacrare le donne che almeno non partoriranno più briganti. Non ho prigionieri per i quali possa rimproverarmi”. Lo diceva in nome della rivoluzione il generale François Joseph Westermann, non a caso detto “Le boucher de la Vendée”, “Il macellaio della Vandea”. Effettivamente, la storia può diventare una terribile maestra di vita.
Non so se l’autrice di questo reportage, la francese Anne-Laure Bonnel, abbia colto il medesimo legame tra i due discorsi. In ogni caso, dopo aver ascoltato quello di Porošenko, è stata nel Donbass nel 2015 per documentare i crimini contro l’umanità commessi dagli ucraini ai danni della popolazione del loro stesso Paese: 13.000 morti in un solo anno di guerra e repressione.
Si trattava di uomini, donne e bambini russofoni e dunque lo scandalo non si è esteso a tutto il mondo nello spazio di un solo ordine e di un solo clic, come sta accadendo per la propaganda filoucraina che procede a reti dissidenti oscurate. E così, due anni fa, Anne-Laure Borrel ha detto di rifiutarsi di essere chiamata giornalista da quando, a proposito della tragedia del Donbass, ha visto come opera l’informazione aggiungendo testualmente di sentirsi “estremamente delusa dalla professione” e di vergognarsi “della copertura mediatica di questo conflitto”. E oggi nulla è cambiato.

 

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