Trump, Musk & gli altri. Le logiche nascoste della politica
May 02, 2025
Mi interrogava giorni fa una giovane collega su quale fosse la logica che muove i personaggi oggi al governo degli Stati Uniti. In particolare la incuriosisce la figura di Elon Musk, il miliardario che da un lato persegue un progresso tecnologico apparentemente senza limiti, puntando praticamente al superamento dell’uomo, e dall’altro sembra promuovere la natalità. Dovrebbe infatti essere chiaro a tutti che la digitalizzazione spinta di tutte le attività produttive comporterà una perdita di posti di lavoro quale mai si è registrato nella storia dell’umanità. Ora, questo cambiamento epocale dell’economia porrà rapidamente il problema di come provvedere al sostentamento di centinaia di milioni di disoccupati. Una sfida che appare insostenibile di fronte alla politica fiscale portata avanti dai capitalisti americani (indipendentemente dalla loro transeunte militanza politica), volta a ridurre al minimo il loro contributo alle casse pubbliche. Che senso avrebbe dunque incrementare una popolazione della quale non si intende comunque farsi carico? Abbiamo a che fare con delle farneticazioni oppure c’è qualcosa che ci sfugge?
Partiamo da un principio di ragionevolezza. I problemi, quando sono reali e non frutto dell’immaginazione, non si possono risolvere a colpi di slogan moralistici, peggio ancora se mutuati dalla politica. Definire pazzi, fascisti o peggio i nuovi governanti dell’America non ci porta da nessuna parte. Scatenare l’odio contro qualcuno serve solo ad inasprire i conflitti, con conseguenze che non si possono prevedere.
Piaccia o meno, si ritorna inevitabilmente al buon vecchio Shakespeare, che sulle stranezze dei potenti ne sapeva qualcosa. Tant’è che in relazione ad uno dei suoi personaggi più celebri se ne esce con queste auree parole: “C’è del metodo in questa follia”[1]. Chi non voglia limitarsi al chiacchiericcio da bar, deve allora abbassare i toni ed impegnarsi in una riflessione seria, che non si presenta né semplice né veloce
La mia prima risposta è stata che i politici, in ogni contingenza, perseguono consapevolmente degli obiettivi fra loro inconciliabili. Ciò risulta chiaro a chiunque legga con cognizione di causa i vari programmi elettorali, nessuno escluso. Lasciando da parte le scontate considerazioni circa la moralità della classe politica tout-court, indubbiamente chi si appresta a salire al governo conta di riuscire a distribuire nel tempo i vari nodi problematici, in modo da affrontarli uno alla volta. È il segreto della buona politica, che purtroppo non sempre riesce, spesso per delle cause oggettive. Vi è poi da considerare l’arco temporale proprio delle diverse strategie, le quali interferiscono l’una con l’altra e presentano urgenze diversificate, pur dovendo venir messe in moto più o meno negli stessi tempi. Tutti fattori che spesso ignorano quanti siano lontani dalla stanza dei bottoni.
Il fattore tempo agisce ad es. in vari modi a seconda del fenomeno considerato. Una obiezione che la gentile collega mi ha posto è la seguente: posto che l’amministrazione Trump intenda reindustrializzare l’America, e che a tal fine serva una cospicua forza lavoro, in ogni caso questa non sarà disponibile prima di vent’anni. E nel frattempo, cosa si fa? Più precisamente, chi paga i costi di una ripresa demografica?
Una bella domanda, non c’è che dire. Alla risposta ci si può avvicinare quando si prenda in considerazione la meravigliosa poliedricità dell’essere umano. Il quale non è soltanto homo faber, ma anche, e soprattutto negli USA, un consumatore. Se c’è un’industria – meglio, una filiera di prodotti e servizi – che si è andata inaridendo negli States è quella della produzione di esseri umani. I quali cominciano a consumare ancor prima della nascita, richiedendo non solo prodotti ma servizi alla persona che coinvolgono una significativa forza lavoro. Per non parlare del sistema di istruzione, che oggi dovunque nell’Occidente risulta sovradimensionato e quindi costretto ad attirare studenti dall’estero se non vuole chiudere per mancanza di utenti.
Bella risposta, mi direbbe la mia interlocutrice. Ma resta sempre aperto l’interrogativo sulle risorse. Qui, se si va a guardare, una via d’uscita ci sarebbe. Per quanto riguarda le risorse umane, vale a dire la forza lavoro, il deficit si può colmare da un lato adottando l’automazione spinta sulla quale punta la Silicon Valley, dall’altro ristrutturando radicalmente il sistema d’istruzione superiore. Quest’ultimo inghiotte ogni anno decine di migliaia di giovani sottraendoli alle attività produttive, senza fornire loro né una formazione idonea a renderli lavoratori efficienti, né ad inserirli quali elementi positivi nel corpo sociale. Donald Trump sta perseguendo una rivoluzione epocale che punta a rivoltare gli Stati Uniti come un calzino, possiamo stare certi che nessun settore per quanto importante rimarrà intoccato.
Quanto ai soldi, posto che non si voglia toccare i “paperoni”, questi possono saltare fuori mettendo sotto controllo il mostruoso bilancio del Pentagono, il cui ammontare corrisponde praticamente al deficit dell’intero bilancio federale. Tra le mille iniziative che Trump sta lanciando a dritta e a manca con la grazia di un ragazzaccio che tira i sassi contro le finestre del vicinato, c’è anche il tentativo di negoziare sia con Putin che con Xi Jinpin, entrambi in affanno nella gestione delle rispettive economie, una significativa riduzione degli armamenti. Questo servirebbe in primo luogo a salvare il bilancio federale dal tracollo, ma è evidente che rappresenta la premessa per una ristrutturazione radicale della spesa pubblica.
Come si vede, negli ambienti “che contano” dietro ogni atteggiamento, anche il più bizzarro, emergono delle motivazioni non banali. Il punto è che dobbiamo staccarci dall’idea che le politiche economiche e sociali siano il prodotto della mente degli uomini che vediamo in televisione. I politici, ce lo ha dimostrato ampiamente Ronald Reagan, solo raramente sono dei pensatori. Nella maggior parte dei casi sono esattamente quello che vengono definiti ufficialmente: dei rappresentanti, vale a dire delle persone che curano interessi altrui. Sono sostanzialmente degli “avvocati”, del popolo in teoria, delle classi dominanti nella realtà. Come gli avvocati, le loro doti principali sono la dialettica e l’attitudine a dissimulare, due caratteristiche che li accomuna agli attori. Il politico come attore, capace di interpretare oggi una parte e domani un’altra, è quello che abbiamo davanti agli occhi, ma dietro di lui, ci sono delle menti pensanti. Menti pagate per pensare, inserite in determinate posizioni lungo la catena di trasmissione del potere.
Benché giudicato scadente secondo i canoni di Hollywood, Reagan è risultato perfetto per le esigenze della casa Bianca, tant’è che ancor oggi molti lo rimpiangono. C’è sempre – in ogni nazione ed in ogni epoca – una classe dirigente “ombra” che dirige i destini dei popoli, più o meno nascosta dietro ai governanti di facciata, e lo fa a ragion veduta, soppesando i pro ed i contro di ogni atto[2]. Lo fa naturalmente in funzione dei propri interessi, ma come il pastore omerico essa tiene sempre in vista l’esigenza di tutelare la sopravvivenza del suo gregge.
Per comprendere il significato delle diverse politiche è indispensabile anzitutto ricostruire il quadro complessivo nel quale si collocano le strategie in atto. La prospettiva di un mondo multipolare è incompatibile con l’ambiente globalizzato verso il quale il mondo ha viaggiato dalla fine della II guerra mondiale. Nella prospettiva multipolare, le aree economiche che sino a ieri si stavano reciprocamente aprendo sino a tendere all’unificazione, dovranno nuovamente allontanarsi. Ciò significa richiudersi vero l’esterno e ricercare internamente la propria autosufficienza. In questo contesto, il fattore chiave dell’economia, quello che comanda l’organizzazione delle imprese – vale a dire il mercato – subisce una trasformazione radicale. Invece di un unico mercato globale assisteremo al ritorno ad una pluralità di mercati nazionali o pseudo tali.
Di fatto, le singole economie nazionali, che dagli anni ‘’90 avevano modulato la loro capacità produttiva in funzione del “grande mercato” (Pollio Salimbeni), dovranno riadattarla alle esigenze dei mercati plurinazionali nei quali i diversi Paesi si troveranno ad interagire. Si registrerà cioè un generale abbassamento dei volumi massimi di produzione, compatibilmente alle capacità di assorbimento del mercato in questione. All’interno dei singoli mercati si riproporrà allora il problema delle economie di scala, che dipendono dalle caratteristiche tecniche dei diversi settori produttivi. Ciò significa che nella nuova configurazione del mondo potranno sopravvivere soltanto le economie in grado di assicurare al loro interno la vendita dei prodotti essenziali al funzionamento del sistema, od almeno una quota largamente maggioritaria degli stessi. Il concetto di sostenibilità – uno slogan buono per tutte le stagioni, che nel recente passato si è preteso di applicare ad ogni ambito, al di là di ogni ragionevolezza e talvolta in spregio alle evidenze scientifiche – rientra adesso in gioco con una sua ineludibile urgenza.
Se si guarda alla carta geopolitica in questa prospettiva è facile rendersi conto di come gli Stati Uniti, che sono divenuti il più ricco (se non esattamente il più grande) mercato mondiale, risulteranno pericolosamente piccoli di fronte a concorrenti non diciamo della taglia della Cina e dell’India, ma anche e soprattutto dell’Europa. Con oltre 500 milioni di abitanti a redditi medio-alti, questa sopravanza di molto un’America che non arriva a 350 milioni. Gli USA, per capirci, stanno avvicinandosi al medesimo problema che assilla Putin e l’intera dirigenza russa dopo la caduta del sistema sovietico. Quello di un paese – in questo caso con poco più di 140 milioni di abitanti – che non può avere alcun futuro se non riesce a riportare rapidamente il suo mercato interno ad una dimensione vicina quanto meno a quella dell’ex Unione Sovietica, se non addirittura dell’ex Patto di Varsavia.
Giova notare che a porre la Russia nelle drammatiche condizioni attuali sono stati proprio gli USA, e lo strumento ultimo che essi hanno impiegato per strangolare l’antagonista della “guerra fredda” è stato l’Ucraina. Il golpe di Maidan, architettato dall’Occidente, ha infatti decretato il fallimento dell’Unione Eurasiatica, il progetto di Putin per assicurare la stabilità economica alla Federazione russa di concerto con gli Stati confinanti. Un aspetto questo che i commentatori politici dell’una e dell’altra parte si sono ben guardati dal menzionare, mentre in Occidente si plaudeva all’ennesima “rivoluzione colorata”. Per la storia, l’Unione Eurasiatica doveva inaugurarsi proprio nel 2014, data di partenza della catastrofe ucraina. Ecco cosa si cela dietro al nobile intento di diffondere la “democrazia” nel mondo. La lotta sorda e inesausta volta a dissolvere i Paesi indipendenti al fine di assorbirli all’interno dell’impero economico che si stende ai due lati dell’Atlantico.
Tutto ciò spiega l’innamoramento “natalista” di personaggi che sembrano usciti da un romanzo di fantascienza: l’esigenza assoluta di assicurare la sopravvivenza delle loro imprese – anche quelle tecnologicamente avanzate – attraverso una crescita demografica adeguata del mercato di casa. In questa luce si comprende come mai un agnostico tendenzialmente antinatalista come Elon Musk concordi con un palazzinaro come Donald Trump nell’abbracciare il nazionalismo a stelle e strisce e financo l’anima profonda della Bible Belt, quanto all’obiettivo di invertire la tendenza demografica degli States. Primum vivere, deinde philosophari. Stando così le cose, la politica antinatalista imperante in Europa, “alla scuola di Macron”, dimostra quanto il “vecchio continente” meriti oggi questo appellativo. Esso presenta infatti tutti i sintomi del degrado mentale normalmente associato all’età avanzata. In particolare, un pensiero nichilista sclerotizzato, fermo alle strategie elaborate dalle élite dominanti a livello mondiale nel tentativo di fronteggiare la contestazione del ’68. Le élite dominanti, arroccate nella difesa del potere che sta loro sfuggendo.
Gianfranco Battisti
[1] G. Giorello, “Il metodo di Amleto”, Journal of Science Communication, 2(01), C03
[2] Non va trascurata una differenza fondamentale tra Occidente e Oriente nella formazione della classe dirigente. I nostri politici vengono generalmente dall’avvocatura e dalle banche, in Russia o (meglio: nell’ex URSS) e in Cina sono arruolati tra gli ingegneri.
FONTE : Osservatorio card. Van Thuan
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