La follia della mamma intenzionale
Jun 09, 2025
di Marcello Veneziani
Fatemi capire. Ho sentito in tv e sui giornali le fanfare euforiche che esultavano per il riconoscimento delle famiglie lesbiche grazie alla nota sentenza della Corte Costituzionale e mi stavo quasi commuovendo sentendo che la cosa più importante era salvare i bambini, finalmente riconosciuti e rispettati nei loro diritti e nei loro affetti. Anzi, per rendere più convincente il pistolotto, e farlo digerire anche ai perplessi, dicevano che si è trattato di riconoscere la realtà, di non negare più la vita e l’evidenza; voi conservatori che sbandierate da sempre il principio di realtà arrendetevi al principio stesso che voi sbandierate. E allora io mi sono chiesto: ma cosa succedeva prima di questo pronunciamento della corte suprema, e cosa sarebbe successo senza? Bambini strappati con la forza dalle loro madri adottive e magari anche biologiche, perché figli della colpa – cioè nati nella compravendita di semi, di uteri in affitto o artificiali, commissionati da due lesbiche – madri costrette ad abortire o a lasciare il frutto del peccato sulla ruota degli esposti, o peggio in un cassonetto; figli maltrattati ed esclusi da ogni asilo e da ogni gioco perché non a norma di legge, senza permesso di soggiorno sulla terra e non so che altro ancora. Poi ho guardato la realtà, cioè quel che succede veramente e mi sono accorto che tra il prima e il dopo non cambierà nulla di tutto questo. I bambini vivevano e vivranno con le due mamme lesbiche, e se vivranno qualche incertezza e qualche inquietudine sarà appunto per la realtà della loro situazione: perché a differenza dei loro coetanei avvertiranno di non avere un padre, di non vivere in una famiglia naturale e tradizionale. Ma sul piano della vita pratica non cambieranno le loro condizioni di vita; e nemmeno sul piano affettivo, quel che c’era ci sarà, nel bene e nel male.
Non sono un giurista, tantomeno un ginecologo, i miei studi sono filosofici, con interessi collaterali di tipo storico, letterario, politico e sociologico. quindi vi parlo in questa veste. A me pare che l’unica vera implicazione, pratica e giuridica, di questa sentenza sia questa: in caso di separazione, la pseudo-madre aggiuntiva rispetto all’ipotetica madre biologica avrà il diritto di vedere il suo figlio adottivo esattamente come succede ai padri nelle coppie di separati; e in caso di morte della madre biologica, la madre aggiunta subentrerà nel ruolo di genitore. Penso che la stessa cosa accada in tema di eredità. Disposizione che si poteva e si può ancora prevedere sul piano legislativo, con una legge del Parlamento, semplicemente rendendo più snella, rapida e duttile l’adozione. Senza toccare la struttura familiare e la definizione di maternità e di paternità (ridotta ormai a un cammeo, una comparsata, una momentanea pennellata, toccata e fuga).
E allora che cosa è in gioco, veramente, perché tutto queste fanfare che inneggiano al progresso, ai diritti, all’emancipazione o alla sconfitta della società oscurantista e arretrata, della bestiale famiglia naturale e dell’ottusità patriarcale della società tradizionale? In realtà non è in gioco la realtà ma un simbolo e un principio condensato in una definizione: maternità intenzionale. La donna che convive con la madre biologica e che comunque non ha partecipato alla fecondazione e alla gravidanza, viene considerata madre a tutti gli effetti perché lo è sul piano delle intenzione. Non è la realtà che conta ma l’intenzione, non il fatto oggettivo di essere madre ma il desiderio soggettivo di sentirsi madri. La questione, come vedete, va al di là della questione omosessuale e della coppia lesbica, e investe un principio che è la negazione della realtà, della natura, della vita e della tradizione ma anche del diritto che poggia sull’universalità della legge e sull’oggettività dei fatti; non è la realtà che conta ma come tu ti senti, ti percepisci, e desideri. È il principio che sta passando anche nel rifiuto di riconoscere la differenza oggettiva e biologica tra maschio e femmina; quel che conta è come tu ti senti. Anzi, di più come tu ti senti adesso, in questo momento, perché nel corso del tempo puoi pure cambiare i tuoi desideri. “L’importante è come io mi sento”, crolli il mondo ma conta solo il soggetto, libero, autogestito, autocreato. Io non sono quel che la natura, l’evidenza, la realtà dicono che io sia, ma quel che voglio essere.
Mi pare che lo stesso principio che facciamo valere sul sesso possiamo farlo valere in altri ambiti, per esempio sull’età: se io mi sento giovanotto, nonostante l’anagrafe e la biologia, se sono un ragazzo intenzionale, come quella donna è madre intenzionale, se mi comporto da ragazzo e frequento ambienti e persone della mia età intenzionale, perché negare questo mio statuto, perché non riconoscerlo giuridicamente, con tutto quello che comporta? E se io giovane mi sento già pensionato, perché impedirmi il pensionamento iperanticipato, che coincide con la mia sacra volontà? Ma io che amo il surrealismo, Pirandello e Buzzati, Borges e Ionesco, io che amo il paradosso, porto il principio alle estreme conseguenze. Se io sono quel che mi sento, e la mia intenzione è quella che conta e stabilisce il mio vero statuto, bene lo confesso: io mi sento una giraffa, e vorrei essere riconosciuto pubblicamente come tale. In sovrappiù, vi do anche una giustificazione adeguata: un vero filosofo è una giraffa, perché la sua testa è lontana dal suo corpo, esattamente come lei, grazie al lungo collo, e dunque la sua mente è lontana dalle cose terrene e dalla sua pancia, dal suo sesso, dalle sue zampe; la giraffa è animale filosofico anche perché vede le cose dall’alto, ha una visione del mondo molto più ampia degli altri animali, e un distacco aristocratico dalle cose terra terra. Non riesce nelle bassezze, la giraffa filosofa, non riesce nelle piccinerie, né passa nelle strettoie e dentro canali, gallerie, case. La sua canzone preferita è il cielo in una stanza, perché la giraffa ha per patria il mondo, come il filosofo per Socrate, non può vivere in una stanza, sotto un soffitto e un tetto. Sarebbe una vita costretta e dolorosa, obtorto collo…
Si, ammetto, ho esagerato, o meglio ho portato un principio alle sue conseguenze estreme e surreali, un po’ per celia un po’ per coglionare. Ma volevo dire una cosa: la nascita è una cosa seria, una cosa sacra, e una cosa vera, biologicamente, carnalmente vera; ci possono essere e ci sono magnifiche madri adottive, qualunque sia l’orientamento sessuale, come ci sono pessime madri biologiche. Ma non si cancella la natura, il destino, la differenza, la realtà, la paternità, nel nome dell’eccezione, dell’abnorme, del relativo, del mutevole, delle voglie. La realtà è una cosa, l’intenzione è un’altra; da troppo tempo giustifichiamo gli errori e perfino gli orrori col beneficio delle buone intenzioni. Sappiamo invece che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Per tornare a pazziare: quando potremo avere, col favore della Corte, il diritto inverso, di sentirci figli intenzionali di madri a noi estranee? Cioè quando potremo riqualificare l’ignominiosa definizione di figli di m.ignota, con la nota scurrile riduzione romanesca, in modo che i figli possano scegliersi strada facendo una madre che meglio corrisponde alle loro intenzioni e ai loro desideri? Quello si sarebbe un progresso, anzi una rivoluzione…
La Verità – 25 maggio 2025
FONTE : Marcello Veneziani
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