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La rinuncia di Benedetto XVI vista da uno storico

alleanza cattolica don roberto regoli papa benedetto xvi wlodzimierz redzioch Mar 24, 2023
 

Wlodzimierz Redzioch parla con don Roberto Regoli

di Wlodzimierz Redzioch

Qualche mese fa è stato pubblicato un libro intitolato Papa, non più papa. La rinuncia pontificia nella storia e nel diritto canonico, un’opera a più voci che vuole affrontare l’argomento del Papa emerito e del suo papato sul piano teologico, giuridico, canonistico ed anche storico. L’aspetto storico viene affrontato dal professore di Storia della Chiesa dell’Università Gregoriana, don Roberto Regoli, che è anche uno dei biografi di Benedetto XVI.

– Perché un libro sulla rinuncia del Papa?

– Perché si ha a che fare con uno degli avvenimenti maggiori della storia del papato contemporaneo, un atto in qualche modo «epocale» e rivoluzionario a causa delle modalità impiegate e delle conseguenze attuate. L’oggetto dell’osservazione non è solo la rinuncia del Papa, ma lo status personale successivo alla decisione presa.

– Benedetto XVI nel presentare la sua rinuncia ai fedeli cattolici parlò di gravità e novità: «Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo». Perché parla di novità, se la rinuncia di un Pontefice è avvenuta altre volte nella storia della Chiesa? Che cosa intende e a che cosa si riferisce con l’attribuire la categoria di novità al suo passo?

– Indubbiamente è una novità assoluta rispetto al tempo successivo alla rinuncia. Se tutti i rinunciatari del passato sono rimasti solo vescovi o sono tornati (nuovamente rinominati) cardinali, non è così per Benedetto XVI. Lui rinuncia, infatti, impiegando il linguaggio riscontrabile nelle sue stesse dichiarazioni, “solo” al ministero petrino attivo, divenendo “Papa emerito”, legittimato a essere chiamato «Sua Santità» e a firmare con il nome pontificale di Benedetto, e non quello battesimale di Joseph, su carta intestata («Benedictus XVI – Papa emeritus»). Ratzinger verrà considerato e chiamato «Papa emerito o Romano pontefice emerito» e continuerà a essere «Sua Santità» Benedetto XVI, vestendosi con «l’abito talare bianco semplice». Questa è l’assoluta novità ed unicità nella storia. È un atto originale, capace di originare anche un nuovo esercizio del papato. Di più. Un atto di rinnovamento, che tocca il vertice del cattolicesimo.

– Uno storico che fonti ha a disposizione relative all’evento della rinuncia di Benedetto XVI?

– Prima di tutto si tratta di video (fonte propria della storia del tempo presente) e di testi, quali la “Declaratio” stessa di papa Benedetto XVI dell’11 febbraio 2013 di fronte ai cardinali (cioè il testo della sua rinuncia), e poi il suo discorso di fronte a tutto il popolo di Dio, del 27 febbraio successivo. I due testi corrispondono ai due momenti in cui Ratzinger, in funzione di Papa, chiaramente racconta, dice e preannuncia il presente ed il futuro del suo ministero petrino. Si prendono pure in considerazione anche altri testi o interviste dello stesso Papa Benedetto o di persone a lui vicine, pubblicate durante il periodo del papato emerito.

– In che modo è maturata la decisione della rinuncia?

– Si trattò di una decisione presa in solitaria, senza consultazioni, né perizie ecclesiastiche, canonistiche o teologiche. Una decisione che andava solo comunicata. Nell’aprile e nell’agosto 2012 Benedetto ne parla con il cardinale Tarcisio Bertone, nel settembre con mons. Georg Gänswein, a novembre con mons. Giovanni Angelo Becciu, poco prima dell’annuncio ufficiale con il cardinale Gianfranco Ravasi (in quanto predicatore degli Esercizi spirituali della Curia romana per quell’anno) e, per ragioni pratiche, con mons. Guido Marini (maestro delle celebrazioni liturgiche) e con un officiale della sezione latina della Segreteria di Stato (per far rivedere il testo della rinuncia). Dopo una prima idea di dimettersi a dicembre, Benedetto XVI si convinse in ultimo a comunicare la decisione solo l’11 febbraio 2013, per una sua ragione interiore, essendo il giorno dalla Madonna di Lourdes. Come ha detto papa Francesco, la Declaratio, cioè la rinuncia, di Benedetto XVI è un atto di governo.

– Lei, nel suo contributo al libro, ricorda le rinunce al papato avvenute nella storia…

– Nel primo millennio diversi Papi hanno rinunciato al loro ruolo, ma le modalità di rinuncia erano differenti e spesso i confini tra rinuncia, rimozione, deposizione ed esilio erano fluidi e confusi.

– Invece nel secondo millennio si ricorda la rinuncia di Celestino V, il famoso “gran rifiuto”…

– Stando alle teorie canonistiche dell’epoca, cioè del XIII secolo, si avevano due fronti sulle modalità della rinuncia papale. Da una parte c’era chi desiderava un coinvolgimento dei cardinali o di un concilio, dall’altra chi considerava che l’unico referente fosse Dio, cioè negavano ogni coinvolgimento di altra autorità umana. In ogni caso, nel dicembre del 1294 il Papa condivise la sua intenzione di rinunciare con i cardinali in concistoro, che però lo sconsigliarono. Poco dopo, allora, mise per iscritto le ragioni della sua rinuncia. Successivamente fece redigere una costituzione per normare la rinuncia papale e il 13 dicembre, di fronte ai cardinali riuniti, lesse effettivamente la sua dichiarazione di rinuncia. I cardinali dettero allora il consenso, perché canonisticamente parlando non c’era niente da eccepire. Nonostante la richiesta, fu proibito al Papa di usare le insegne pontificie dopo la rinuncia durante la celebrazione della Messa (a causa dell’opposizione di un cardinale). Celestino V, Papa per soli 5 mesi e 9 giorni, ridiventò Pietro del Morrone. Il testo della decisione è asciutto, senza bizantinismi: «Io, Celestino V papa, considerandomi incapace di questa carica, sia a causa della mia ignoranza, sia perché sono vecchio e debole, sia anche per la vita puramente contemplativa sin qui da me condotta, dichiaro di volere abbandonare questo incarico che io non posso più rivestire; abbandono la dignità papale, i suoi impegni e i suoi onori». Celestino V si spogliò dei paramenti papali e tornò ad essere Pietro del Morrone, in abito monastico. Divenne un vescovo eremita. Dopo la morte (1296) venne canonizzato (1313) non come Celestino V, bensì come san Pietro del Morrone. Dopo di lui si può ricordare la rinuncia di Gregorio XII, volta al conseguimento dell’unità della Chiesa, nel momento in cui si trovavano a coesistere tre Papi (tutti apparentemente legittimi, o almeno senza motivazioni sostanziose per scalfirne la legittimità). Gregorio XII rinunciò al papato (1415), rimanendo solo vescovo, per poi essere nuovamente nominato cardinale dal suo successore. Morì con il titolo di cardinale vescovo di Porto.

– Parlando della rinuncia di Benedetto XVI si ritorna spesso a quella di Celestino V. Si possono paragonare queste due rinunce?

– Benedetto XVI non usa la terminologia del suo predecessore Celestino V, che parlò di rinuncia al papato (renuntiare papatui), né quella impiegata dal Codice di diritto canonico sulla rinuncia all’ufficio (renuntiatio muneri). Opta per una novità: egli dichiara di rinunciare al ministero (renuntiatio ministerii), esattamente di «rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro». Lo stesso Benedetto XVI posteriormente riconoscerà la differenza tra le due rinunce: «ero ben consapevole del fatto che la situazione di Celestino V era estremamente peculiare e che quindi non poteva in alcun modo essere invocata come precedente». La rinuncia di Celestino e le altre rinunce avvenute nel corso della storia avvenivano, fra l’altro, in un contesto di canoni e di ecclesiologie diverse rispetto al quadro normativo ed ecclesiologico all’interno del quale si è mosso Benedetto XVI, che così, a differenza dei suoi predecessori, non torna ad essere un eremita, neanche un cardinale, ma appare come «Papa emerito», conservando pur sempre con il titolo di «Papa».

– Con la rinuncia di Benedetto XVI nasce la figura del Papa emerito e del papato emerito…

– Alla rinuncia di Benedetto è legata la novità del papato emerito. Il Papa parla di rinuncia «all’esercizio attivo del ministero», il che fa pensare che ne esista uno «non attivo». Per lui l’impegno assunto con la sua elezione, il 19 aprile 2005, è un «sempre» e un «per sempre», e d’altra parte parla di una perdita del «solo esercizio attivo del ministero». Dice: «non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. […] Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione». Si tratta di una evidente novità, rispetto alla prassi e alla dottrina canonistica precedente.

– Papa Francesco ha sempre spiegato, sin dall’avvio del suo pontificato, che anche lui potrebbe ripetere il gesto di Benedetto XVI, elogiando il «grande esempio dato da Benedetto XVI», che lo aiuterà a «prendere una decisione» qualora fosse necessario. In un’intervista, rispondendo a una domanda sulla possibilità di avere delle norme relative alla figura del Papa emerito, Francesco ha osservato che «la storia stessa aiuterà a regolamentare meglio», dato che «la prima esperienza è andata molto bene», essendo Benedetto XVI «un uomo santo e discreto». Per il futuro, però, «conviene delimitare meglio le cose», o «spiegarle meglio». Parlando di una sua eventuale rinuncia, ha detto: «sono il vescovo di Roma, in quel caso sarei il vescovo emerito di Roma», aggiungendo che potrebbe risiedere a San Giovanni in Laterano. Cosa ne pensa di queste parole di Francesco?

– Penso che in lui ci sia un’evoluzione del pensiero, dovuta probabilmente anche al fatto che la materia non è mai stata realmente dibattuta. Anni fa Francesco immaginava un futuro con più Papi emeriti e ora, invece, preferisce parlare di un futuro vescovo emerito di Roma. Se si andasse effettivamente in questa direzione, Benedetto XVI non sarebbe un precedente storico, ma un’eccezione nella storia.

Mercoledì, 22 marzo 2023

FONTE : alleanzacattolica.org

 

 

 

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