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Per crescere bisogna fidarsi. E sfidarsi

caterina giojelli pietro trapletti tempi May 24, 2025

di Caterina Giojelli

Storia di Pietro Trapletti, che ha costruito un’azienda leader nella mobilità di alta gamma grazie al credito ricevuto dai clienti ereditati dal padre. E a quello che lui concede a piene mani ai suoi collaboratori.

Tutti vorrebbero lavorare con Pietro Trapletti. E per “tutti” non intendiamo solo vip, diplomatici, big della musica, moda e lusso – che già lo fanno. A dire il vero, Trapletti non ha speso un solo nome per raccontarsi a Tempi. Ha parlato di papà, mamma, moglie e figli. Autisti, colleghi e amici. Se cercate gossip da Davos, dalla Fashion Week o dall’ultimo evento a Miami, qui non c’è. Si parla di Giovanni XXIII, di un bambino che cerca la playa, mentre fuori i cavalli pascolano e la pioggia ingrossa il lago di Endine. Ed è proprio questo a dire tutto dell’imprenditore che abbiamo davanti. Leader nella mobilità di alta gamma, ma soprattutto uno che incarna il claim: non importa dove andare, ma con chi. Lo dicono i suoi clienti e lo ripetono soprattutto i suoi collaboratori, da Dubai a Parigi a New York fino al piccolo comune di Casazza, provincia di Bergamo: «Tutti dovrebbero lavorare con Trapletti».

Quando Pietro Trapletti ha preso in mano l’azienda di famiglia aveva diciassette anni e aveva «tutt’altro per la testa. Ma papà mi aveva sempre coinvolto nei suoi affari, parlavamo molto e lo facevamo sul serio». Dopo pranzo, la domenica, sedevano a ricopiare le bolle degli autisti. «Scrivevano con una calligrafia terribile, e lui voleva che ogni documento allegato alla fattura fosse chiaro, leggibile. Mi diceva: “Se lavoriamo bene, dobbiamo farlo anche nei dettagli”». Eugenio Trapletti era fatto così: meticoloso, curioso, instancabile. Tecnico capo-fuochista in ospedale, poi autista di ambulanze, quindi delle auto blu, aveva aperto l’attività a 43 anni, con la voglia di fare bene. «Usava i primi Excel, le agende elettroniche, i Blackberry. Non aspettava il futuro: lo cercava. E soprattutto era attentissimo alla relazione con i clienti. Si fece un ufficio a Trezzo sull’Adda: era il primo comune del distretto milanese, e questo gli consentiva di stampare il prestigioso prefisso “02” sul biglietto da visita». Poi, un giorno, disse al figlio: «Dobbiamo chiudere. Io non sto bene». E Pietro rispose: «Adesso no. Se vuoi, quando starai meglio deciderai tu. Ma oggi decido io». Eugenio si aggravò in pochi giorni, lo guardò e disse: «Là fuori è un mondo di lupi. Tu non ce la farai mai». Non era un giudizio: «Era una sfida».

Pietro Trapletti, fondatore e Ceo di Balsamo Srl
Pietro Trapletti, fondatore e Ceo di Balsamo Srl

«Prova, inventati qualcosa»

Nel 2002, in appena diciannove giorni, Pietro perse suo padre. «Ci siamo seduti con mio cugino e ci siamo chiesti: cosa vogliamo fare?». In quel momento aveva tre autisti, la quarta superiore ancora da concludere, e clienti che lo chiamavano: «Scusa Pietro, sei uscito da scuola? Posso chiederti per il prossimo servizio?». Quella fiducia, quella scommessa sul figlio di Trapletti, fu un dono. «Un’eredità morale che mi educò fin da subito alla responsabilità». Le relazioni che Eugenio aveva costruito negli anni si rivelarono decisive. «Pietro, se tu vai avanti, noi siamo contenti», gli dissero allora i clienti di sempre. Un atto di fiducia che il ragazzo non avrebbe mai dimenticato.
La quinta superiore la frequentò alle serali. Accanto, c’era sempre mamma Gina, che lo sostenne con discrezione, pur rimanendo defilata dalle dinamiche di un’azienda che dal 2006 avrebbe portato il suo cognome da ragazza: Balsamo. Furono anni decisivi in cui Trapletti comprese che fare impresa, per suo padre, non era solo un mestiere, ma il senso della vita. «Tuttavia mi rendevo conto che il servizio al cliente iniziava e finiva nel trasporto con conducente: sufficiente per ottenere un giudizio positivo, ma non per garantirci una scelta futura. Così ho cercato di concentrarmi sul “prima” e sul “dopo”, su come costruire valore con una struttura complessa».

Per realizzarla Trapletti sapeva di aver bisogno di un team e di un atto di umiltà. «Io voglio fare questa cosa e farla in grande, ma non ho le competenze», ammise, ingaggiando un consulente esterno. «Mi aiuti?». La stessa richiesta la fece alla fidanzata che sarebbe diventata la sua group commercial director, ma soprattutto sua moglie e madre dei suoi figli. E ad altri amici, fino a dare vita a un team locale, proprio a Casazza, un terreno fertile per coltivare talenti. La visione di Trapletti si estese presto all’estero. «Ok, ma cosa devo fare?», gli chiese la tirocinante a cui affidò la ricerca dei collaboratori. «Se lo sapessi lo farei io… Prova, inventati qualcosa». Era il 2013. L’evoluzione fu rapida, si iniziò a curare ogni aspetto del viaggio: l’attesa, l’accoglienza, la relazione di lungo periodo. «I clienti non sceglievano più solo un tragitto, ma un’accoglienza. Volevano sentirsi unici».

Alla conquista del mondo

Il primo milione di fatturato arriva nel 2015, ma Trapletti lo associa «a quando alcuni del mio team hanno deciso di assumersi responsabilità che prima non avevano. Ogni passo in avanti dei nostri è stato un passo in avanti per tutti». Nel 2017 nasce la Mobility Technical Management, a Roma, per occuparsi dei rapporti istituzionali e diplomatici, operando in Europa, Asia e Oceania. Le richieste dall’estero per eventi, concerti e missioni delicate si moltiplicano. Entrando nella sede di Bergamo notiamo i cartelli destinati alle varie auto (spiccano i loghi di Leonardo, Eni, Hugo Boss, Chanel, Damiani, Fendi, Miu Miu), le foto di Lady Gaga e Mick Jagger, degli U2 e dei Maneskin che scendono da una macchina Balsamo. Ma Trapletti è riservato come una tomba e non ne cita neanche uno.

«Una volta ci chiesero di replicare a New York ciò che avevamo fatto a Roma con la presentazione di un gioiello. Non un servizio, ma un’esperienza. Il problema non era trovare l’auto giusta, ma creare quel clima umano che solo una cura italiana sapeva offrire». Così, nel 2020, nasce la collaborazione con la Mobility Angel Corporation di New York, per il mercato Usa, Canada e America Latina. Poi, nel 2022, l’ingresso nella Société Parisienne de Gestion de la Mobilité a Parigi, per seguire i mercati francese, del Benelux e africano. Oggi Trapletti ha acquisito il 100 per cento di entrambe le società. Il fatturato del 2024? Oltre 25 milioni di euro. Collaboratori? Oltre 900 nel mondo. Dipendenti? Un centinaio, di cui il 50 per cento ha meno di 30 anni.

Le spoglie di Giovanni XXIII

«Sì, ho pensato di trasferirmi. Ma poi ho capito che tornare qui, in questa valle, è ciò che ci tiene lucidi. Se restassimo troppo a lungo nei mondi del lusso, rischieremmo di dimenticare chi siamo». Ogni giorno si parte per missioni diplomatiche, tour, al seguito di artisti e capi di Stato. Ma il centro rimane lì, dove tutto è iniziato. Dove c’era un padre, e ora ci sono dei figli. «Sono piccoli, ma li coinvolgo. Racconto le difficoltà, devono sapere che si può sbagliare. Che vale la pena di provarci. L’impresa, se ha senso, è anche una scuola di libertà». Un’estate aveva dato il permesso al primogenito di “andare da solo” a recuperare qualcosa dalla spiaggia all’hotel. Il piccolo aveva preso la via sbagliata per il mare fino a incontrare un passante. «Mi scusi… Dónde está la playa?». Era tornato orgogliosissimo di essersela cavata: «Papà, ce l’ho fatta». E Trapletti, che lo aveva seguito a distanza senza mai perderlo di vista, lo sapeva.

A tutte queste cose pensava nel 2022, quando ricevette una chiamata riguardante il rientro delle spoglie di papa Giovanni XXIII da Roma a Sotto il Monte. Un incarico delicato, che univa logistica, simbolo e memoria. «Non potevo non esserci. Non era solo un servizio, ma un atto di gratitudine verso il mio territorio. Ho guidato di notte, pensavo a mio padre, a tutto quello che era successo. E mi sono detto: sono grato. Ho il dovere di continuare». Anche durante la pandemia, aveva scelto di non mollare. Nessun alibi, nessuno in cassa integrazione, nessun taglio. Invece: formazione, telefonate, progettazione. «I clienti ci dicevano: ma voi perché lavorate ancora? E noi: perché oggi si semina. Perché domani, se ci sarete ancora, vogliamo esserci anche noi». Un impegno che si tradusse anche in azioni concrete per la comunità, dal reperimento di mascherine al supporto per i rimpatri.

Delle due l’una: o Pietro Trapletti è un imprenditore fuori moda, o è il precursore assoluto dell’impresa del futuro. Parla di amicizia, di missione, di bene comune, non come slogan: come realtà quotidiana. Lo ribadisce spiegando la sua adesione al Manifesto del Buon Lavoro della Compagnia delle opere: «Durante il Covid ho ricevuto solidarietà da imprenditori molto più “avanti” di me, che mi hanno preso per mano, mi hanno accolto in una compagnia, un’amicizia operativa per cercare di creare valore per la società».

«Lasciate giocare i giovani»

Insiste sul senso dell’opera: «Io ho una responsabilità: creare il contesto. Ma poi sono i miei ragazzi che devono giocare in attacco. L’azienda deve esistere anche senza di me». Così ha iniziato un percorso di crescita per i suoi collaboratori: «Alcuni erano bravissimi, ma avevano paura di esporsi. Dovevano imparare a metterci la faccia. Quanto ai giovani, se li lasci giocare, fanno miracoli». Ma nessun miracolo sarebbe possibile senza “quel” dono. Chiamatelo fiducia, speranza, quella che Eugenio Trapletti aveva sfidato nel figlio adolescente. La stessa che Pietro Trapletti ripone in chiunque accetti la responsabilità di fare bene. Là fuori è un mondo di lupi. Per questo tutti vorrebbero lavorare con Pietro Trapletti.

FONTE : TEMPI

 

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