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Reductio ad unum

francesco lamendola Jan 13, 2023

di Francesco Lamendola

In fondo, a ben guardare, il principio è sempre lo stesso: cercare la sola via giusta in mezzo alla foresta disordinata delle strade possibili.

Tutti i fiumi portano al mare: ma non è lo stesso mare.

E tutti i semi cha attecchiscono nella terra portano alla pianta adulta: ma non sarà la stessa pianta.

E ogni vagito di bambino indica una vita che è venuta al mondo: ma non diverrà un adulto uguale a ad alcun altro.

Ogni cosa tende all’uno, ma non all’identità, né con le altre cose, né con il tutto: ecco l’errore del panteismo. Tutto cerca l’Uno, ma appunto perché l’Uno che tutte le cose cercano è quello che rende possibile la loro molteplicità e differenza.

Tutta la nostra vita è un continuo bisogno e una continua ricerca di unità: prima nel seno della mamma, poi fra le braccia della sposa amata (o dello sposo), infine tra le braccia amorevoli del Padre, che ci aspettavano Da sempre, già da prima che il nostro seme fosse concepito.

In tutti i volti delle ragazze che ci attraggono, è in fondo sempre lo stesso volto che ci attrae con forza misteriosa, anche se non ne siamo consapevoli: quello di nostra madre, come si è impresso nella nostra percezione infantile. E la stessa cosa accade alle ragazze nei confronti degli uomini, specie quando si tratta di un sentimento che sgorga dal profondo e non ha niente a che fare con un desiderio momentaneo.

In tutti i nostri amici, in fondo è uno solo quello che cerchiamo: il più fedele, il più paziente, quello che non ci deluderà mai. Cosa che invece, talvolta accade, anche dopo anni di amicizia e per i motivi più futili. Noi vogliamo quell’amico che ci resterà sempre accanto, anche ai piedi della croce; che non ci venderà per denaro come fece Giuda Iscariota, e che non ci rinnegherà davanti al mondo, per paura o per vergogna di noi, come san Pietro.

In tutte le sorgenti presso le quali ci dissetiamo, in tutte le pozze ove, accaldati e stanchi, ci bagniamo, è sempre la stessa acqua, è sempre la stessa fonte che cerchiamo: quella ove abbiamo ricevuto il santo Battesimo.

E tutte le volte che ci raccogliamo in preghiera, è alla nostra prima preghiera che inconsciamente torniamo, quella che ci è stata insegnata da piccoli.

E in tutte le chiese ove ci capita di entrare, per i motivi più vari, anche semplicemente di studio, o magari per scaldarci dal freddo, è sempre la stessa chiesa che istintivamente ci aspetteremmo di vedere: quella della nostra prima Comunione e della Cresima.

E se, dopo aver girato il mondo e aver visto tanti paesi e città, ci capita poi, magari per caso, di tornare nella nostra città e di passare sotto le finestre della nostra prima casa, quella nella quale siamo nati (perché allora non si nasceva in ospedale, salvo casi particolari), allora sentiamo che il significato della parola casa per noi è quello e solamente quello, e non potrebbe essere che quello: anche se la casa non è bella ed è vecchia, anche se non ha l’ascensore e le stanze sono piccole e poco illuminate.

Con la ricerca del sapere, è la stessa cosa. Da bambini restiamo affascinati da tante cose, vorremmo esplorarle e conoscerle tutte, tutte: dal castello signorile che si staglia maestoso contro il profilo delle colline, alla vecchia casa di periferia tutta coperta d’edera che sta cadendo in rovina e il cui giardino rinselvatichito è popolato da una quantità di gatti randagi. E poi ascoltare i racconti dei grandi, specialmente quelli dei nonni: com’era il mondo ai loro empi, come giocavano da bambini, come vivevano in tempi di pace e di guerra.

E le favole che il papà o la mamma ci raccontavano la sera, prima del bacio della buonanotte, erano in fondo sempre la stessa: cambiavano l’ambientazione, l’epoca (sempre indeterminata) e lo stato sociale dei protagonisti, ma era sempre la stessa storia che ritornava in cento forme e con mille volti diversi: la favola dell’amicizia, dell’amore e della fedeltà, la favola della lotta del male contro il bene; e il male, alla fine, nonostante le sue minacciose apparenze, risultava sempre sconfitto, condannato alla disfatta dalla sterilità della sua stessa cattiveria. E benché la storia fosse in realtà sempre la stessa, pure sembrava ogni volta nuova diversa; non generava mai alcun senso di monotonia o di stanchezza, al contrario: era sempre affascinante ed elettrizzante come la prima volta, e si avrebbe voluto ascoltarla una seconda una terza volta. Nessun programma televisivo, nessun film possedevano la stessa forza di attrazione: gustate così, al calduccio nel proprio lettino, le fiabe della sera erano impagabili e insuperabili, erano quanto di meglio per chiudere in pace e in serenità, con la mente piena di sogni e di avventure generose, la giornata, dopo la recita delle preghiere e il breve ma necessario esame di coscienza.

Tutto nella vita converge verso un punto focale: la sola differenza è che i bambini lo sanno, o almeno lo intuiscono, mentre la stragrande maggioranza degli adulti se n’è bella e scordata e non ci pensa proprio.

Sarebbe un’impropria semplificazione dire che quel punto focale è la fine del cammino terreno, cioè la morte: anche perché i bambini, se non vi sono costretti dalle circostanze brutali, alla morte non pensano affatto. No: il punto focale, per loro, è la ricerca assidua, incessante,  spesso inconsapevole, sempre esigente e appassionata, capace di assumere mille strategie, di aprirsi una strada nei punti più impensati, di pregustare con l’immaginazione ciò che ancora neppure si vede, della felicità. Il bambino è fatto per essere felice; è fermamente convinto che la vita ne possieda un bagaglio inesauribile; e non si lascia sfuggire la benché minima occasione – il bambino sano ed equilibrato, naturalmente, non il bambino viziato e affetto dalla stessa nevrosi dell’avere che possiede gli adulti – di scorgerla, di afferrarla, di trattenerla. Lui sa come fare; lui conosce le dolci misteriose parole di un linguaggio tutto suo, che costringe la bella ma volubile signora a trattenersi con lui quanto più a lungo possibile, nonostante tutto e tutti.

Lui non sa, naturalmente – non conosce né Aristotele, né san Tommaso d’Aquino – che essere felici equivale ad avere la coscienza pulita e condurre alla perfezione – relativa, ben s’intende – la propria natura, che, per l’uomo, è razionale, volitiva e rammemorante. Che poi sono due facce di una stessa condizione, perché se la coscienza non è pulita, sgombra da impurità e imperfezioni, intossicata dal rimorso delle cattive azioni, non potrà mai gustare i frutti deliziosi che crescono nel giardino della felicità.

Eppure è così: e in fatto di filosofia dovremmo andare tutti quanti alla scuola dei bambini, perché loro ne sanno assai più di noi.

Adesso immaginiamo di voler raggiungere una sella in montagna, ma di essere sprovvisti di carte. Ci metteremo in marcia, di buon passo, cercando d’indovinare la direzione giusta. Da tutta una serie d’indizi, di ragionevoli supposizioni, di particolari significativi, abbiamo compreso che la direzione giusta è quella che va a nord-est. A quel punto, possiamo sgombrare tre quarti del nostro orizzonte ideale ed escludere tutti i sentieri, tutte le direzioni di marcia che vanno verso sud-est, verso sud-ovest o verso nord-ovest.

Certo, non è del tutto da escludersi che qualche sentiero capriccioso, dopo essersi avviato in una direzione apparentemente sbagliata, descriva poi una curva fra i boschi e torni indietro, avvicinandosi alla nostra meta, senza che noi ne abbiamo alcun sentore. È possibile, ma improbabile, e quando bisogna mettere sulla bilancia il gioco delle probabilità, è meglio lasciar perdere l’improbabile, l’imprevedibile, il capriccioso, e affidarsi alle sane, vecchie, buone apparenze: pur coscienti che non sempre l’abito fa il monaco. La vita è fatta anche di rischi, e bisogna saperne affrontare qualcuno.

I bambini sanno che la felicità esiste, è possibile, è sempre nascosta dietro l’angolo di casa, o forse dentro l’angolo: sanno che non si paga in denaro, e infatti con la scambiano, se non raramente e per un tempo brevissimo, con un giocattolo costoso; sanno anche che è una regina un po’ capricciosa, che viene quando vuole  e se ne va altrettanto facilmente, ma sanno anche che esiste un repertorio di trucchi, di piccole astuzie, di magie evocate dalla loro stessa innocenza, che ha il potere di cambiare la durata del tempo e far durare pochi minuti come se fossero ore.

Così, per un adolescente, il miraggio della felicità è nell’amicizia, nell’amore e nello sport. Sogna di diventare un grande calciatore, o magari un famoso alpinista, di conquistare tutte le vette più ardue dei Cinque Continenti. Oppure sogna d’indossare la maglia rosa, di vincere trionfalmente il Giro d’Italia, di lasciarsi alle spalle, sulla mitiche salite delle Alpi, gli avversari più quotati e più temibili. E questi pensieri, per quanto vaghi e indistinti, gli forniscono già un qualche assaggio, un qualche anticipo della felicità futura. Perché egli pensa ancora – e qui sta già mostrando la sua goffaggine e la sua inesperienza – che essa sia senz’alto qualcosa di futuro, un evento, una situazione, una persona che un giorno, molto presto, entreranno con un sorriso nella sua vita, e la solleveranno a parecchi metri da terra.

Poi un bel giorno l’adolescente diventa un giovane uomo e deve pur fare una scelta, imboccare una strada: quella del lavoro o quella degli studi universitari, e quali. Se è un giovane serio, introspettivo, portato alla contemplazione, facilmente sarà attratto dalle scienze naturali, dall’astronomia, dalle matematiche: vorrà cercare un perché. Ma anche la storia eserciterà un fascino potentissimo: tutta la storia, dall’antichità al tempo presente. E il tempo presente significa governo, opposizione, politica, ingiustizie: se ha un temperamento focoso, non è escluso che abbracci le ideologie più rivoluzionarie ed estremiste. E se ha un animo sensibile, la storia dell’arte e la musica saranno in cima alle sue preferenze: si perderà ore e giornate intere fra pinacoteche e gallerie. Ma la bellezza è effimera, è come una trama di sogni: la realtà sono i corpi che invecchiano e muoiono. Non ha senso rifugiarsi in un castello d’avorio. Poi, un poco alla volta, senza disertare nessuno di questi interessi, sarà portato ad approfondirne alcuni, quelli che gli parranno più essenziali per avvicinarsi alla soluzione del problema. Lui ancora non lo sa, ma il problema è sempre quello: la reductio ad unum; scoprire la sorgente unica che illumina e giustifica le infinite manifestazioni del mondo della natura e della storia. Qualche volta, durante le sue ricognizioni storico-artistiche, entrando in una chiesa solitaria e particolarmente antica, e perdendosi nella luce che pare smaterializzare ogni cosa, verrà sfiorato, magari inconsapevolmente, da quei lontani ricordi della Prima Comunione e delle Cresima, dalle lezioni del catechismo, da quel dolce timore che lo accompagnava fino al confessionale, e da quel meraviglioso senso di pulizia, di pace col mondo, quando ne usciva dopo aver ricevuto l’assoluzione. Ma più che ricordi sono sensazioni indistinte, come di qualcosa di bello che giace in fondo alla coscienza, ma non si decide a rivelarsi pienamente. È passato tanto tempo! E i giovani, a meno che siano toccati dalla grazia, a tutto pensano fuor che al seminario, e qualche settimana dopo il rito della Cresima par che abbiano dimenticato tutto: peggio, che quasi si vergognino di aver creduto a quelle verità.

Ed ecco che il nostro giovane, ammaestrato anche da alcune rudi lezioni della vita, concentra sempre di più i suoi interessi. Romanzi, poesie, ha sempre fatto fatica a leggerli; ora non ci riesce proprio: gli parrebbe di buttar via del tempo. È un giudizio ingiusto, naturalmente, ma i giovani sono così: o tutto o niente. Da anni, ormai, lascati da parte anche i libri di latino e di greco, non ha occhi che per quelli di filosofia, specie di metafisica: che al liceo, chissà perché, lo attiravano pochissimo. Ma si era accorto che sono scritti tutti alla stessa maniera, che vogliono convincerlo delle stesse tesi, anche se lui non ne è convinto affatto: perciò comincia a frequentare i mercatini e le librerie antiquarie e fa delle vere scoperte che lo riempiono di gioia: libri ormai rarissimi, non più ristampati da decenni (e perfino da oltre un secolo!), e tuttavia ancora così spregiati che si vendono a pochi euro l’uno. Vuoi vedere che al liceo la filosofia lo annoiava per come la porgevano?

E così fa incetta di vecchi testi filosofici che nessuno vuole più, di autori sovente dimenticati. Però sono autori che danno luce, che rischiarano il cammino; autori che scaldano il cuore, perché esprimono alla perfezione quel che anche lui sente; mentre dagli altri non si sente capito, viene trattato come un essere alieno. E così, rovistando fra gli scaffali polverosi, finalmente la grande scoperta, la scoperta definitiva: la teologia. Quanti bellissimi tomi ancora intonsi, grossi, dove ogni pagina contiene decine di verità sublimi e innalza la mente e l’anima ad altezze sublimi! Par di guardare il mondo da un’altezza stratosferica: e questo dopo aver adottato la più semplice delle tecniche, l’umiltà. Con la superbia, anche la più bella intelligenza impazzisce e si perde nei suoi vani ragionamenti; ma solo con l’umiltà è possibile che venga la grazia, e con essa tutto si fa chiaro.

 

 

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