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San Tommaso d’Aquino e quel sano realismo di cui c’è grande bisogno

alessandro beghini il timone san tommaso d’aquino Jan 30, 2024

di Alessandro Beghini

Riceviamo e pubblichiamo, in occasione del giubileo tommasiano del 28 gennaio, che cade nell’anno del 750° anniversario dalla morte dell’Aquinate, un contributo su San Tommaso d’Aquino a firma del prof. Alessandro Beghini, Presidente di Doctor Humanitatis – Sezione di Verona della S.I.T.A – Società Internazionale Tommaso d’Aquino.

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Si celebra oggi l’importante festività liturgica di san Tommaso d’Aquino, arricchita quest’anno dal giubileo per il 750° anno del suo dies natalis, che si inserisce all’interno del triennio giubilare 2023/25 costituito anche dal 700° anniversario dalla canonizzazione, avvenuta nel 1323, e dall’800° anno dalla nascita avvenuta nel 1225, sebbene non vi sia una data certa. La sua vita, seppur breve, è stata così densa e colma di intimità col Signore da portarlo ad incarnare in maniera esemplare quel Laudare, benedicere, praedicare, motto dell’araldica domenicana, da cui è scaturita la produzione di un’opera sistematica ed organica dei misteri più profondi della fede e della dottrina cattolica che ancor oggi difficilmente ha eguali.

La ricchezza dei suoi testi trasuda l’impegno di un vero figlio di san Domenico, così attento a valutare nei minimi dettagli ogni aspetto dei contenuti di dottrina a tal punto da far esclamare a papa Giovanni XXII, a chi obiettava contro la canonizzazione dell’autore della Summa Theologiae adducendo che non avesse compiuto grandi miracoli, «Quante proposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece!». Il triplice giubileo che festeggiamo porta oggi a chiederci se siamo davanti solo a un grande santo e uomo di cultura del passato, che nel passato deve rimanere, o se vale la pena recuperare sì la sua figura, ma soprattutto quanto magistralmente esposto nei suoi capolavori in termini sia di contenuto che di metodo.

Maestro Tommaso, insignito di vari titoli ed appellativi tra cui Doctor Angelicus e Doctor Humanitatis, ne porta, in particolare, uno che a nostro avviso è tra tutti il più significativo: quello di Doctor Communis, con cui viene elevato a modello di insegnamento cristiano, ricercatore della verità, amante del bene e studioso di ogni tipo di sapere. Tra tutti, riteniamo pertanto che possa essere questo appellativo quello più rilevante per rispondere in maniera affermativa all’importanza della figura dell’Aquinate per l’uomo d’oggi. Dottore comune per la Chiesa significa, in fondo, che a lui deve guardare ogni studente e studioso di teologia, ma anche ogni cristiano che desideri approfondire i misteri della fede  grazie al supporto di un corretto e valido pensiero.

Egli è lo Studiorum Ducem, come scritto da Papa Pio XI nella Lettera Enciclica del 1923 con la quale il Santo Padre attestava il pensiero dell’Aquinate come centrale nella teologia cattolica tanto da esortare i credenti ad andare da Tommaso: «Ite ad Thomam!». Il medesimo appellativo è stato ripreso più recentemente anche da Papa Francesco sia nel corso dell’Udienza ai partecipanti al Congresso Tomistico Internazionale del 22 settembre 2022, sia nella Lettera inviata ai Vescovi di Latina, Sora e Frosinone il 19 giugno 2023 per il VII Centenario dalla canonizzazione di San Tommaso d’Aquino. Ha scritto, infatti, il Papa che «il Doctor Communisè una “risorsa”, un bene prezioso per la Chiesa di oggi e del domani […] e perciò attingiamo alla sua sapienza e testimonianza confermati dal suo insegnamento nel nostro essere popolo di Dio “pellegrinante”».

Ebbene, tutto ciò premesso, qual è dunque il cuore del messaggio tommasiano? O meglio, c’è una ragione per la quale noi viatori del 21° secolo è bene che guardiamo a lui? Cos’ha davvero da insegnarci? Le risposte potrebbero esser varie, ma a nostro avviso un aneddoto ci viene incontro per compiere la scelta dirimente. Pare, infatti, che all’inizio dei suoi corsi universitari, san Tommaso mostrasse ai suoi allievi una mela, dicendo: «Questa è una mela. Chi non è d’accordo può andar via». Questo aneddoto breve e significativo ci dice che san Tommaso insegnava giustamente che non è il pensiero a determinare l’essere, ma è l’essere a determinare il pensiero. In altre parole, il recupero di un sano realismo oggi dovrebbe essere l’obiettivo principe per ricomporre quella frattura tra pensiero e realtà, figlio di una cultura, non solo filosofica, che da oltre due secoli ha dato il primato al primo a discapito della seconda. Inutile negarlo: la nostra epoca è figlia di quell’idealismo filosofico e culturale che ha messo da parte il moderato realismo tommasiano.

Ci troviamo così orfani, per così dire, di quel pensiero che sappia accogliere dati di realtà che ci permettano di accettarla, custodirla, farla nostra. Siamo invece, per l’ennesima volta nella storia umana, vittime di quel luciferino peccato adamitico per il quale vogliamo imporre da noi stessi ciò che è e ciò che non è, ciò che è bene e ciò che è male, come esito di una decisione totalmente ego-centrata. A tal proposito, riecheggiano le parole di padre Tomas Tyn -importante studioso domenicano dell’opera di San Tommaso, scomparso in giovane età- che, in una sua omelia, al riguardo ebbe a dire che «solo Dio si può permettere il lusso di essere idealista, perché solo Dio determina l’essere, distinto da Lui, ovviamente, perché il suo essere non è determinabile, mentre tutti gli altri esseri distinti da Dio sono determinati dal pensiero di Dio. Quindi l’uomo che pensa di poter pensare le proprie idee, indipendentemente dall’essere, è un uomo che si pone al posto di Dio».

San Tommaso, dunque, maestro di dottrina e sapienza, ma anche maestro di quel sano realismo che gli avrebbe permesso di sostenere -con un linguaggio più vicino a noi – che il vero umanesimo, su cui tanto si dibatte anche ai nostri giorni, non è dato tanto dal mettere l’uomo al centro di diritti o bisogni, ma è dato piuttosto dalla figura di Cristo. Uomo al centro perché Cristo, Signore del tempo e della storia, è al centro perché ne è il centro. Questo, in fondo, il grande insegnamento del santo Dottore il quale pare però ammonirci, con tutta la sua proverbiale dolcezza ed integrità, che questo cammino non è né facile né scontato, ma richiede impegno, dedizione, pazienza e soprattutto santità, ovvero conformazione a Colui per il quale vale davvero la pena donare la propria vita, Cristo Salvatore.

Non a caso, infatti, al termine della propria esistenza, che a rigor di cronaca fu il 7 marzo del 1274, scrisse nel ricevere la santa Eucaristia parole talmente piene di amore verso Cristo da farle sembrare più una poesia che una preghiera: «Vi ricevo, prezzo del riscatto della mia anima e Viatico della mia peregrinazione, per il cui amore ho studiato, vigilato, lavorato, predicato e insegnato. Ho scritto tanto, e tanto frequentemente ho discusso sui misteri della vostra Legge, o mio Dio; sappiate che nulla ho desiderato insegnare che non fosse stato appreso da Voi. Se quello che ho scritto è verità, accettatelo come un omaggio alla vostra infinita maestà; se falso, perdonate la mia ignoranza». A tali vette arrivò il suo trasporto d’amore perché immenso fu il mistero d’amore che visse quest’uomo, come semplice e povero frate predicatore.

(Fonte immagine: Screenshot, Kinosofia, Youtube)

FONTE : IL TIMONE

 

 

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